L’Adige 8 maggio 2011 – Era un Trentino che non sapeva ancora dove andare e cosa fare, quello degli anni Cinquanta. Era appena uscito dalla guerra e l’agricoltura era segnata da un’arretratezza quasi ottocentesca. La viticoltura ancora peggio: «Le pergole di Nostrana erano lunghe mezzo metro, ne poteva uscire solo acqua, in mezzo ai vigneti si coltivavano patate e carote. Eravamo alla sussistenza». Loro, la banda dei cinque – i magnifici cinque dello spumante -, avevano appena completato gli studi rigorosi dell’Istituto agrario di San Michele. E avevano voglia di guardare avanti. Giovani di belle speranze con la testa rivolta al futuro, pensavano a come cambiare il mondo, a come innovare la viticoltura: «Passavamo le nostre estati a viaggiare, Europa, Stati Uniti, Sud Africa, volevamo conoscere il mondo del vino fuori dai confini nazionali. Organizzavano tutto l’associazione degli enologi e quella degli ex allievi dell’Istituto. E fu durante uno di quei viaggi che cominciammo a capire che anche per noi il futuro avrebbe potuto essere costruito attorno allo spumante, anche attorno allo spumante». A raccontarlo è Leonello Letrari, classe 1931. Un omone di ottant’anni che, insieme alla figlia Lucia, è capo di una delle maison – la cantina è a Rovereto ma si estende su 22 ettari lungo la valle dell’Adige fino Belluno Veronese – che dello spumante, Talento e Trentodoc, rappresenta l’eccellenza italiana. Quest’anno ne “tireranno” 60 mila bottiglie. E sempre quest’anno Nello Letrari festeggia i suoi primi 50 anni di bollicine: mezzo secolo da quella prima bottiglia di Equipe 5, che è stata una delle pietre miliari del metodo classico nazionale. Ma torniamo ai viaggi: «Partivamo da una terra arretrata, ma non è che altrove vignaioli e cantinieri se la passassero meglio. Però c’era un però: ci rendemmo conto che all’estero, dal Portogallo alla Francia passando per la Spagna, c’era qualcosa che faceva la differenza: erano le maison dello spumante, cantine che sembravano salotti, tappeti rossi, vigneti coltivati come giardini di rose. Insomma tutta un’altra cosa rispetto alle nostre cantine e alle nostre campagne. Capimmo che lì giravano soldi, tanti. E anche tanta qualità e tante competenze». L’idea di Equipe 5 nacque così. Certo c’era già Ferrari. Ma quella da sempre è tutta un’altra storia. I magnifici 5 erano lui, il Nello, e altri 4 giovani che poi avrebbero fatto la loro gran bella strada: Bepi Andreaus, Riccardo Zanetti, Pietro Tura e Ferdinando “Mario” Tonon. Una parentesi. Nello, l’idea dello spumante aveva anche cercato di venderla ad una delle case vitivinicole più blasonate del Trentino: la Bossi Fedrigotti per la quale lavorava già da qualche anno. Stava lanciando sul mercato uno dei primi bordolesi italiani, prima del suo Fojaneghe c’era stato solo il Castel San Michele dell’Istituto. Fu un successo commerciale incredibile, un Sassicaia alpino ante litteram, il cui segreto stava in una miscela indovinata di innovazione, qualità e marketing: «In quegli anni il vino si vendeva a 150 lire, noi uscimmo con una bottiglia da 950 lire. Il Fojaneghe andò a ruba». Anche se fu bocciato dalla commissione di assaggio della Mostra dei Vini (“Vino legnoso e resinoso, vino greco”, fu l’incredibile verdetto), fu un successo che durò vent’anni e arrivò a sfiorare le 400 mila bottiglie. Anche da quella prima bottiglia di bordolese roveretano sono passati giusto cinquant’anni. E il gruppo Masi (Valpolicella), che oggi controlla la Bossi Fedrigotti, a giugno celebrerà il compleanno del Fojaneghe: Nello Letrari, naturalmente, sarà lì a raccontare quella storia. Ma torniamo all’Equipe 5. La Bossi Fedrigotti, a cui Leonello aveva proposto l’idea dello spumante, non accettò: «Non mischiare il sacro con il profano, mi dissero. E allora tornai alla carica con i miei compagni di viaggio». E così nacque Equipe 5; era il 1961, cinquant’anni fa appunto. Soci, quei cinque ex allievi di San Michele che giravano l’Europa, tutti fra i venti e i trent’anni. Detto fatto. La prima sede fu a Lavis, in un palazzotto dove Ferrari tempo prima aveva già trafficato con le sue bollicine, poi nelle cantine Pedrotti di Mezzolombardo, ex salumificio degli Asburgo. Fu una bella storia di successo quella di questo spumante trentino, una storiona lunga 25 anni: «Le uve erano quelle pregiate di Mazzon e dei Pochi di Salorno, selezioni attente di Chardonnay e Pinot Nero. La vinificazione ce la faceva Hoffstätter, poi la spumantizzazione, remuage e tirage , a Mezzolombardo». Nel giro di vent’anni i magnifici 5 passarono da poche migliaia a mezzo milione di bottiglie. Tanto per far capire la dimensione del successo, erano i tempi in cui Ferrari arrivava sì e no al milione. Equipe 5 divenne lo status symbol di una generazione da boom economico ma soprattutto lo straordinario veicolo di immagine di un Trentino da esportazione. Alla fine degli anni Ottanta per tante ragioni («Famiglia, salute, ma anche perché forse eravamo soprattutto artigiani e non imprenditori puri»), l’etichetta passa di mano e finisce di essere sinonimo della viticoltura a nord di Verona: prima il gruppo Buton, quello della Vecchia Romagna, poi Cinzano e infine Cantina di Soave, la coop veneta che da qualche anno ha resuscitato l’etichetta e ne fa un Brut all’altezza di quella prima grande bottiglia del 1961. Ma cosa ha lasciato questa bella storia spumantistica? «Mah, non so davvero cosa dire. La nostra idea fu innovativa, ma allora non fu capita, forse eravamo troppo avanti noi. A partire dal nome francofono che avevamo scelto e che per quei tempi, ancora quasi autarchici dal punto di vista linguistico, fu quasi una palla al piede: alla fine quasi tutti lo pronunciavano storpiandone il nome. Anche la cooperazione allora non capì: invece di scegliere con decisione la strada dello champenois, si buttò sugli charmat. Capite bene la differenza». Leonello Nello Letrari, dalla bellezza dei suoi ottant’anni e reduce da un intervento a cuore aperto (30 anni fa), è ancora uno di quei giovanotti di belle speranze degli anni Sessanta che già allora, e oggi più di allora, avevano molte cose da dire e da insegnare. Ma soprattutto non è un uomo che vive di ricordi. Anzi, parla più volentieri del futuro che del passato (con quello ha già fatto i conti e lo ha archiviato in un prezioso libricino uscito qualche anno fa, a cura di Nereo Pederzolli, per ArtimediaEnoika: “Viti e vini di una vita”). Ma del futuro vuole parlare in grande, pensa alle strategie. Non vuole lasciarsi invischiare nelle polemichette e nei litigi che anche in questi giorni stanno annegando l’associazione dei Vignaioli: «Lasciamo perdere, qui si continua a litigare. E non ne esce niente di buono». Ma se gli chiedi un’opinione sul futuro dello spumante italiano non si tira indietro: «Questo per lo spumante è un momento magico, le vendite si sono impennate. Ora siamo dentro l’onda giusta e la dobbiamo cavalcare». Sì, ma come? «Abbiamo bisogno prima di tutto di un ombrello nazionale, un marchio italiano che racchiuda tutte le nostre esperienze spumantistiche. In Spagna hanno Cava, in Francia lo Champagne. Noi non siamo riconoscibili, siamo rimasti un arcipelago con tante eccellenze ma senza un marchio comune. Eppure uno strumento ce lo abbiamo, è il Talento (Nello, a suo tempo ne è stato uno dei fondatori, come è stato fondatore dell’istituto italiano spumante, ndr). Usiamo questo marchio per farci conoscere nel mondo, altrimenti, se ognuno fa per sè, come sta accadendo oggi, non andremo da nessuna parte». E il TrentoDoc? «Quello è un valore aggiunto, una storia da raccontare dentro la storia del Talento. Ma non basta per essere riconosciuti nel mondo. Se le istituzioni provinciali in questi anni hanno fatto qualcosa di buono è stato di credere nello spumante, ma non bisogna illudersi basti il nostro marchio locale per sfondare sui mercati mondiali. E poi andrebbe promosso in un altro modo». Come? Nello sorride e poi dice la sua da astuto uomo di marketing, oltre che di spumante, quale è: «Smettiamola di promuovere lo spumante solo negli hotel a 5 stelle, come se fosse un oggetto extra lusso. Lo spumante dobbiamo farlo bere a tutti. Invece di sponsorizzare le feste della birra si facciano le feste campestri dello spumante, con i calici ad un euro. Con tutti i soldi che si spendono in promozione, se solo un terzo fosse destinato a questo genere di iniziative avremmo già fatto un bel passo avanti. E invece vedo che si continuano a spendere soldi per grandi eventi destinati alle élite, ai vip che lo spumante lo bevono solo se glielo regali». Una bella provocazione, che arriva da un protagonista geniale e innovatore della viticoltura italiana. Un doppio anniversario (Fojaneghe ed Equipe 5) di cui in Trentino, tuttavia, quasi nessuno si è ancora accorto. Poco male: delle invenzioni e delle innovazioni di Nello Letrari si sono ricordati in Valpolicella e nelle valli padane. Domani, a Parma, sarà ospite di una serata con duecento invitati organizzata da imprenditori, consumatori e amici emiliani. Auguri Nello, grande vecchio dell’enologia italiana e ideologo dello spumante per tutti. E non solo per i vip.