Un calice di vino di un bel rosso rubino su sfondo bianco, la nostra penisola che vi si immerge parzialmente,come un delizioso biscottino, et voilà:  la copertina semplice ed efficace del libro che  promette di svelare, attraverso 111 informazioni utili , i meccanismi segreti che si celano dietro alla lobby dei produttori e commercianti di alcolici, una delle più potenti e meno conosciute del panorama italiano. “LA CASTA DEL VINO” è un testo breve, di sole 190 pagine, edito da Stampa Alternativa, scritto da Enrico Baraldi, psichiatra-saggista-romanziere, e da Alessandro Sbarbada, servitore-insegnante con esperienza ultra-ventennale presso un Club Alcologico Territoriale (Metodo Hudolin), già autori di Vino E Bufale (2009). Lo scopo dell’agile, e per nulla insidioso,  libello è dichiarato fin dalle prime righe: evidenziare come i venditori e produttori di alcolici, non solo attentino alla salute pubblica, complici la cultura e le tradizioni del nostro Paese, ma compiano tutto ciò attraverso la manipolazione dei mezzi d’informazione, privando il consumatore del diritto ad esercitare una scelta libera e consapevole di fronte al consumo di alcol.

In primo luogo, i nostri due eroi si soffermano in maniera ampia e puntualmente suffragata da dati epidemiologici su un concetto fondamentale: l’alcol etilico, assunto sotto forma di vino, birra o superalcolici, non provoca danni generici alla salute, ma è cancerogeno. Di conseguenza non ha importanza, da un punto di vista prettamente salutista, che bevanda alcolica si stia bevendo ed in che quantità (il consumo moderato è, per certi aspetti, ancora più pericoloso) perché, “l’insorgenza di tumori maligni della cavità orale, faringe, laringe, esofago  e fegato è causalmente riferita al consumo di bevande alcoliche”(rapporto OMS, 1998, p.46). Lascio solo immaginare la gragnuola di informazioni in merito e la conseguente stigmatizzazione di chi, in maniera incauta e sprovveduta, sostiene che un consumo moderato di vino possa avere effetti benefici sulla salute. Si tratta di un equivoco pernicioso, in cui sono cadute anche illustri personalità appartenenti al mondo della medicina come il Professor Veronesi, che, tra i suoi molteplici incarichi,  è anche presidente onorario dell’Osservatorio permanente sui giovani e l’alcol, tra i cui soci spiccano Assobirra, la Confederazione italiana della Vite e del Vino e l’Unione Italiana Vini.”Niente di più probabile che questi potenti soci facciano sentire il loro peso quando viene deciso il messaggio da dare agli italiani”(p.55) , fanno notare argutamente gli autori.

Il professor Veronesi non è certo l’unico ad essere incappato in errori deprecabili, altri, infatti,  con i loro comportamenti  “danno il cattivo esempio”: il Presidente Napolitano, in occasione della sua visita a Trento nel 2008, ne è una prova lampante. L’arzillo ottantatreenne, circa un’ora prima del pranzo organizzato in suo onore in commissariato, fu vittima di un malore al teatro Sociale, ma, ripresosi tempestivamente, si recò ugualmente al ricevimento, dove, in presenza del suo medico, assunse un aperitivo alcolico (a base di Ferrari Perlè!), accompagnò il pasto con il vino e terminò con una grappa. Nessuno invitò il presidente a non bere, allertandolo del pericolo in agguato, ma tutti i presenti videro in quel gesto una sorta di celebrazione della salute ritrovata.”Quest’uomo è il Presidente della Repubblica Italiana-commentano , sconsolati, i due autori- nessuno si stupisca del pesantissimo tributo che il nostro Paese paga in sofferenze alcol correlate, perché la nostra cultura è questa”(p.51). Quest’uomo, secondo la mia modestissima opinione, svolge un ruolo istituzionale di primo piano che, in quanto tale, comporta onori ed oneri: sicuramente non avrebbe potuto esimersi dal prendere parte al banchetto né, tantomeno, dall’assaggiare le prelibatezze trentine. La sua astensione dal vino sarebbe quasi sicuramente stata interpretata unicamente come una forma di non apprezzamento da parte della più alta carica dello Stato nei confronti di un prodotto tipico, con conseguenze mediatiche e non solo.

Un’ulteriore vittima della penna implacabile dei nostri autori è nientemeno che Gesù Di Nazareth: come ci tramandano i Vangeli, il Suo primo miracolo fu la trasformazione di acqua in vino in occasione di un banchetto di nozze (le nozze di Cana). Naturalmente la questione, in questo frangente particolare, si fa davvero spinosa: il rischio di blasfemia, infatti, diviene elevato, ma con un abile escamotage tutto si risolve per il meglio. Come spiegano esaustivamente gli interpreti, Egli era lo sposo che si rivelava finalmente al suo popolo ed il vino aveva una fortissima connotazione simbolica: era l’immagine del rinnovamento di tutte le cose in Cristo. “Le verità per chi ha fede rimangono,il contesto storico ed i simboli possono variare nel tempo”(p.172).

Potrei continuare ancora a lungo, sia nell’enumerare le vittime più o meno illustri della mentalità distorta che contraddistingue il nostro Paese, sia nel toccare altri temi affrontati nel testo come la guida in stato di ebbrezza o l’incidenza del consumo di alcol nell’aumento di cancro alla mammella, ma non proseguo oltre perché ritengo che ciò che ho scritto sia più che sufficiente per fornire un’idea del testo in questione.

Mi servo, piuttosto, di queste poche righe che mi restano per sottolineare alcuni aspetti che mi hanno colpita particolarmente: i riferimenti all’epidemiologia sono precisi e puntuali, ma hanno un valore relativo dal punto di vista scientifico dal momento che il numeratore della proporzione (casi attesi di tumore) non deriva da un censimento di casi provatamente causati da assunzione di alcol, ma dalla differenzatra il numero di casi  osservati in chi ha assunto bevande alcoliche ed il numero di casi che ci si sarebbe attesi se l’incidenza in chi ha assunto alcol fosse pari a quella di chi non lo ha fatto. Per questa ragione non vi è la possibilità di distinguere tra chi si sarebbe ammalato a causa dell’assunzione e chi si sarebbe ammalato ugualmente. L’epidemiolgia è, quindi, unicamente uno dei fondamenti della causalità generale, ma si rivela del tutto insufficiente quando ci si riporta sul piano della causalità particolare, per questo mi sarei aspettata riferimenti più puntuali di articoli di giornale o requisitorie edulcorate nella prospettazione dei singoli casi concreti.

Un altro aspetto che mi ha fatto riflettere è l’assoluta mancanza di riferimenti all’epistemologia: sono consapevole di essere di fronte ad un testo con finalità divulgative, ma senza la filosofia della scienza, qualunque affermazione perde di significato.

Infine, una menzione speciale al Professor Ghiselli, nutrizionista di fama, nonché ispiratore della seguente poesia (p.119) che vi lascio come saluto:

La dieta mediterranea

Un patrimonio immateriale

che oggi misuriamo col quintale,

un insieme di pensieri e convinzioni

trasformati in tanti, tanti milioni.

E’ un modo di stare al mondo

non un piatto ripieno a tutto tondo,

è uno stile di vita e un messaggio

più che una lista della spesa un po’ a casaccio.

Non sta solo nel libro di ricette.

Piuttosto indossa la tuta e le scarpette.