Yellowstone SignQuesto post ce l’ho sulla punta delle dita da qualche giorno. Oggi – in questo pomeriggio piombigno – è arrivato il momento. Sono idee che mi girano in testa da quando sui quotidiani locali, qualche settimana fa, sono comparse le entusiastiche fotocronache mellariniane-agenziastefani, che illustravano la sforbiciata del nastro per la riapertura-rivisitazione di una strada di campagna che attraversa i comuni della Destra Adige a sud di Trento, da Isera a Nomi. Quindici chilometri panoramici che tagliano la montagna e che offrono una splendida vista a balconata sulla valle dell’Adige. Costo, se non ricordo male, attorno ai 4 milioni e mezzo di euro. Ma il punto non è questo. Non è una questione di soldi. Ricordo quando nacque quest’idea. Era la fine degli anni Novanta. Qualcuno, allora, cominciò a rendersi conto che il fondovalle era destinato ad una rapida consumazione a discapito dell’agricoltura, soprattutto della viticoltura: nuova viabilità ed espansione immobiliare si stavano mangiando rapidamente terra e territorio. Mentre lo splendido dorso della montagna, dove fino a qualche decennio prima l’agricoltura era ancora vitale, aveva subito un progressivo abbandono e inesorabilmente era stato aggredito dal bosco. L’idea di una bonifica complessiva di quell’area, circa 150 ettari frammentati in moltissime proprietà fondiarie, nacque in seno alla cooperazione di primo grado e ai consorzi di miglioramento fondiario. Iniziò un percorso ad ostacoli durato oltre dieci anni. E ad ogni ostacolo si perdette un pezzo dell’idea originaria. Cambiarono gli interlocutori e cambiarono gli obiettivi. Fino ad arrivare all’oggi. Al taglio del nastro avvenuto qualche settimana fa. L’idea della bonifica fondiaria, che avrebbe dovuto trovare il motore nella grande cooperazione vitivinicola, si è conclusa con la realizzazione di una strada panoramica. Più adatta alla fruizione turistica e al jogging dopolavoristico, che al lavoro dei contadini. Missione compiuta: un altro pezzo di montagna è stato rubato al bosco per far posto ai turisti della domenica. L’agricoltura è rimasta sullo sfondo. Anzi nel fondovalle. Come un’icona totemica da vendere agli automobilisti che sfrecciano, senza fermarsi, sull’autobrennero. L’architettura complessa della bonifica, che prevedeva servizi irrigui, accorpamenti fondiari, servizi in cooperazione per la gestione e la manutenzione dei poderi e delle coltivazioni, è crollata. L’intervento infatti è stato eseguito dalle amministrazioni comunali con soldi provinciali. Gli altri attori del sistema piano piano si sono defilati. In dieci anni il baricentro dell’operazione si è spostato dall’agricoltura al turismo. La storia parabolica di questi 15 km di strada, è la metafora della inebriante – e devastante – ideologia mellariniana calata come una ragnatela appiccicosa su un Trentino succube e inerme. Succube e muto. Un’ideologia che funzionalizza qualsiasi azione incidente sul territorio alla mitologia astratta del turismo. A margine del taglio del nastro, l’assessore Mellarini ha sintetizzato così, con parole sue, questa impostazione che pone pericolosamente  – e velleitariamente – al centro di ogni ragionamento e di ogni giudizio di valore il feticcio della fruibilità turistica: «Il Trentino non ha nulla da invidiare ai paesaggi della Toscana e dell’Umbria, anzi, forse ha qualcosa in più. Questo progetto deve essere sviluppato e promosso adeguatamente, per permettere al nostro turismo di poter crescere. I dati ci stanno dando ragione: negli ultimi anni i turisti che hanno soggiornato negli agritur sono aumentati del 14%, così come nello stesso periodo il numero degli agritur è lievitato da 170 a 380. Segno che il turismo sta cambiando e che la strada è quella giusta».

Già, la strada è quella giusta. Almeno nella violenta visione ideologica mellariniana che ha già permeato di sè,  ad ogni livello, questo Trentino muto e disarmato: l’agricoltura, come il paesaggio, sono diventate variabili dipendenti, significative e apprezzabili solo in quanto leva con cui alimentare il circuito mediatico e spettacolarizzato del turismo. Operativamente quest’ideologia ha preso forma, e si armata, dieci anni fa, quando, con l’arrivo di Mellarini a Piazza Dante, l’assessorato all’Agricoltura e alle Foreste fu accorpato con quello al Turismo. Da lì in poi, quest’ideologia, fondata sulla negazione minuziosa dell’autonomia valoriale dell’agricoltura e del paesaggio, si è trasformata rapidamente in pervasiva ed egemonica prassi politica e amministrativa. Il sogno maledetto che la alimenta è quello di un Trentino formato Yellowstone, dove il contadino in maniche di camicia (a scacchi) diventa cartolina da vendere alle fiere (del turismo) e da immortalare in immagini pettinate ed edulcorate da far girare sui social media. Come i volti dei contadini cembrani presi a prestito per vendere qualche bottiglia in più di un incerto Charmat di fondovalle. Donne, uomini e paesaggio a cui si riconosce esclusivamnte un valore strumentale, in quanto attori di seconda, terza e quarta fila della giostra turistica. Ma a cui è negata, minuziosamente, qualsiasi autonomia concettuale e culturale. Schiacciati dentro le maglie della triste parodia di sè stessi  Magari con la camicia a scacchi e il cappello di paglia.

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