lettera apertadi Angelo Rossi – Caro Signor Cosimo, ho accettato il suo invito a scrivere della Mostra Vini di Trento, perché dopo le 13 ultime edizioni si è tornati ad una formula che ebbi a condividere, dirigendo 27 dei 77 storici appuntamenti. Per ritorno ad una formula intendo la possibilità di sedersi ad un tavolo per degustare in pace una serie di vini senza dover stare in piedi davanti ad un tavolo presidiato dal produttore. Sembra una banalità, ma essa racchiude l’essenza della questione, pur non sciogliendo altri più importanti nodi che legano il sistema. Che perciò stesso va rivisto. Premetto questo perché oggi non è più d’attualità nemmeno il ritorno al modello anni ’90, perché già allora si era capito che una moderna promozione territoriale non poteva prescindere da un’enoteca provinciale permanente. E Palazzo Roccabruna c’è da quasi un decennio, mentre sul territorio continuano a riproporsi manifestazioni vinicole a tema come si faceva un tempo. Qual è allora il problema? La 77.ma Mostra non poteva che essere di transizione in attesa che si ricompongano le divergenze che hanno tenuto lontane molte delle aziende che l’avrebbero qualificata. Quando tutti eravamo più poveri e più umili, a partire dal 1925, la Mostra Vini di Trento ha sempre presentato i migliori prodotti dell’enologia locale offrendo occasione d’incontro agli operatori che progettavano il loro futuro in clima costruttivo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale si capì che una sola settimana di scambio d’idee non bastava, per cui si dette vita al Comitato Vitivinicolo presso la Camera di Commercio (1949). Questo organismo interprofessionale e paritetico fra categorie progettò il primo catasto d’Italia per un organico riordino viticolo, promosse lo sviluppo delle cantine, attuò una politica di qualità basata sulla tutela dell’origine (DOC) ed implementò un’energica azione pubbli-promozionale in Italia e all’estero. Il tutto continuando anche con la tradizionale Mostra Vini e favorendo filiazioni specializzate nei distretti e nelle località turistiche. L’organizzazione, costituitasi in cooperativa di servizio nel 1979 chiuse nel 2000 nel suo 50.mo di fondazione. Ciò avvenne sia perché le cantine sociali (cresciute fino all’80% del vinificato) contestarono la pariteticità con i commercianti-industriali e con le aziende agricole, sia perché soprattutto i grossi contribuenti non accettavano più il co-finanziamento delle attività al 50% con la Provincia. Chiudendo bottega avrebbero, come hanno, ottenuto di imputare gli onerosi costi pubbli-promozionali in capo all’ente pubblico. Orbene, che il modello imposto dalle oligarchie e la surroga pubblica non abbiano funzionato a dovere è sotto gli occhi di quanti hanno voglia di vedere, confrontarsi e mettersi in discussione. Oggi al Consorzio Vini non servono polemiche, servono idee per ripartire.

Allora rieccoci alla Mostra 2013: poteva essere l’occasione per invitare gli attori attorno ad un tavolo e presentare un progetto di medio lungo termine, ma così non è stato. Oddio, degli attori c’erano ed erano un paio di volonterosi che si aggiravano fra i tavoli declamando virtù di vigne e vini. Un’idea per allietare un clima rimasto mesto. Eppure poteva essere l’occasione per aprirsi alla città ed ai suoi ospiti, ma lo è stato solo per pochi. In quindici ore totali d’apertura, del resto, non si poteva fare di più. O forse no, evitando intoppi all’ingresso e disorientamenti fra salette dove finalmente appariva una striminzita lista vini per terzine d’assaggio fra 4, 6 e 8 €. Catalogo inesistente, solo un foglio-programma su 5 ante con approfondimenti giornalieri. Forse mi sono perso qualcosa, ma di questi, la stampa non ha riferito. Hanno trovato riscontro, invece, un paio d’incontri tenuti alla Camera di Commercio, uno su “Sviluppi e tendenze della presenza del Trentodoc nei canali Ho.Re.Ca e GDO” e l’altro su “Indovina chi comunica a cena? I nuovi modi di promuovere la ristorazione”. Restiamo al primo, per me più interessante. L’Adige ha titolato: TrentoDoc capito dal 40%, venduto nel 75% dei ristoranti trentini. Come dire che il 60% deve ancora capirlo tant’è che il Corriere del Trentino ricorda: Trentodoc, un marchio ancora poco conosciuto. Che dovrebbe sottendere: quanti milioni di Euro pubblici ci vorranno ancora? Chi vuole approfondire può cliccare su Palazzo Roccabruna che con tempestività ha messo online testi e slide. Il dibattito è aperto.