Maso-Romani-diventa-il-centro-di-riferimento-del-Marzemino_imagefullwide
Ieri è stata una giornata importante per il Marzemino. Forse.
I vertici di Cavit, a Maso Romani – nella conca di Volano appartenente alla sottozona “dei Ziresi” – hanno presentato le risultanze di 12 anni di ricerca e sperimentazione eseguita su selezioni massali di Marzemino. Ci informano oggi i giornali – questo blog non era stato invitato quindi non possediamo informazioni di prima mano -, che il succo di questo lavoro ultra decennale si può riassumere nell’individuazione di quattro efficienti cloni marzeminici, figli, comunque, del patrimonio genetico dei vecchi vigneti. Bene. Questa è una buona notizia. Fra l’altro questo materiale, ora, sarà messo a disposizione dei viticoltori lagarini che vorranno cimentarsi con questa varietà tradizionale. E anche questa è una buona notizia.
Ma, e mi si scusi se rischio di risultare pedante, questo non basta. La ricerca, la genetica, la sperimentazione, sono una gran bella cosa. Ma se tutto questo non è finalizzato ad una declinazione applicativa, si è fatto un gran lavoro inutile. Applicazione pratica significa nuovi impianti, nuove politiche di valorizzazione territoriale, nuove politiche commerciali. Cavit ha intenzione di fare tutto questo? Ha intenzione di aiutare le sociali di primo grado della zona (Aldeno, Mori Colli Zugna, Isera, Vivallis, Viticoltori in Avio) a fare tutto questo? O si farà bastare, e ci farà bastare, il vigneto sperimentale di Maso Romani?
Ieri, all’incontro a cui erano stati invitati tutti i produttori lagarini, più qualcun altro, purtroppo hanno partecipato solo i gruppi dirigenti della sociali di primo grado. I vignaioli e i piccoli produttori, con due sole ammirevoli eccezioni, non hanno aderito alla chiamata alle armi di Cavit. Come mai? Perché? A questo punto, se l’obiettivo reale è la politica di territorio, credo che sia necessario ripartire da qui. E cominciare a capire perché, ieri, i piccoli produttori hanno preferito stare alla larga da Maso Romani.