Selezione_045

Ho atteso qualche giorno prima di scrivere queste due righe. Che sinceramente avrei voluto fossero altre. Ma ho atteso inutilmente.
L’altro giorno a Milano, in un clima euforizzato da coni gelato alla panna cotta e altre amenità varie, le nostre altrettanto amene autorità hanno tagliato il nastro di piazzetta Trentino: settanta metri quadrati di legno, dolomia, mele e vino, lungo il Cardo, nel cuore dell’esposizione universale a due passi dal famigerato albero della vita. Ho aspettato qualche giorno in attesa che l’ufficio stampa di Expo riprendesse la notizia. Ma di notizie, dal circo mediatico milanese, sino ad oggi non ne sono arrivate. Ieri invece ci hanno informato dell’ apertura di piazzetta Emilia Romagna; oggi i creativi gazzettieri milanesi ci hanno comunicato la nascita dello Zebraburger, un panino al limite del cannibalismo a base di carne di zebra. Poco fa ci hanno deliziato con la fotonotizia della visita ad EXPO del campionissimo di motociclismo Marco Melandri.
Su Piazzetta Trentino manco una parola. Almeno fino a questo momento.
L’EXPO, insomma, non se la è filata. Restano, invece, le cronache autocelebrative (una volta avrei usato l’aggettivo autorefenziali, ma mi sono convinto che non valga più la pena scomodare certe parole) immesse nel circuito social dall’Agenzia Stefani nostrana, con numerosi tweet e retweet. Chi c’era, l’altro giorno a Milano, del resto mi ha raccontato di una piazza desolatamente abitata solo dalle solite e consunte celebrità istituzionali trentine.
Poco più di cento anni fa, nel 1906, un giovane italiano partiva dalle colline di Trento alla volta della Prima Esposizione Universale di Milano, portando con sé una bottiglia che avrebbe rivoluzionato la tradizione enologica nazionale, fino a diventare, a tutt’oggi, una bandiera del made in Italy nel mondo. Quel giovane si chiamava Giulio Ferrari e al Primo Expo milanese affascinò il pianeta che si stava affacciando sul precipizio della Grande Guerra con il suo metodo classico. Aveva solo 27 anni e si guadagnò subito una medaglia d’oro. E allora le medaglie erano medaglie: vere. Poi sarebbe diventato un monumento dell’enologia mondiale. Questo era il Trentino, ancora asburgico ma di lingua italiana, di un secolo fa.
Il Trentino di oggi è quello della piazzetta del Cardo.
Inesistente.
Forse ameno.
Forse.
Peccato.