cesarini sforza

Cari (in ordine alfabetico), Michele * (Dallapiccola) e Tiziano ** (Mellarini), oggi vi raccontiamo una storia.

Forse la conoscete già, e allora stracciate tutto e continuate pure a far finta di niente, o forse no, e allora concedeteci cinque dei vostri preziosi minuti e continuate a leggere.

Questa è la storia di un pezzo di Trentino enologico #chenonresistepiù.

Negli anni Settanta fra Trento e le sue splendide colline, germogliò un sogno. Era il sogno di uomini che sapevano sognare. In grande. Nacque così, nel 1974, Cesarini Sforza, una maison spumantistica che ancora oggi, nonostante tutti i guasti cooperativi in cui è stata violentemente e incolpevolmente incastrata, continua a rappresentare un bel pezzo della spumantistica trentina, soprattutto nel settore Charmat.

Dietro a quel grande sogno, c’erano grandi uomini: il conte Lamberto Cesarini Sforza, che regalò alla maison il prezioso stemma araldico di una delle famiglie aristocratiche più prestigiose d’Italia. E c’era anche Giuseppe Bepi Andreaus. Di lui si potrebbe scrivere molto. Ma non serve; chi abbia anche solo qualche infarinatura di storia della vitivinicoltura (e cultura) trentina, ha già capito di chi stiamo parlando: un decennio prima fu uno dei protagonisti della magnifica banda di amici (gli altri erano Leonello Letrari, Riccardo Zanetti, Pietro Tura e Ferdinando “Mario” Tonon) che si inventò Equipe 5. Un altro dei prestigiosi marchi trentini, che, fra una cessione e l’altra, hanno fatto una brutta fine. Una fine veneta.

Cesarini nacque così, a metà degli anni Settanta, mettendo a patrimonio l’intuizione enologica di un altro grande trentino: Nereo Cavazzani. Era stato lui a mettere a punto, sul piano tecnico, un sistema di rifermentazione in autoclave cosiddetto lungo, capace di trattare come si deve le uve Chardonnay (e Pinot Nero). Per estrarne uno spumante Charmat solido e di carattere. Il metodo che oggi è più conosciuto, appunto, come metodo Cesarini.

Quel sogno nasceva anche da un acuta analisi del territorio vitato trentino: le vaste coltivazioni di Chardonnay che già allora cominciavano ad affacciarsi sulle colline reclamavano una risposta enologica e commerciale all’altezza. Una risposta, soprattutto in termini di volumi, che il metodo classico, da solo, non poteva dare. E che non è in grado di dare neppure oggi.

Cesarini nacque, dunque, grazie al coraggio imprenditoriale di due uomini, grazie al sapere tecnologico maturato in Trentino, ma oggi valorizzato con il nome originario (Metodo Cavazzani) solo in Veneto da Astoria, e sulla base di alcune analisi ancora oggi attuali.

La storia di questa maison, e del suo prestigio internazionale, è legata a doppio filo allo Charmat, sebbene abbia sempre giocato anche sul tavolo della DOC TRENTO. Ed è qui, forse, che si cela un peccato originale.

Ma andiamo avanti.

Ad un certo punto arrivò la cooperazione, erano gli inizi degli anni Duemila. La – Vis e i suoi uomini cercarono di cambiare il Dna di questa maison, attribuendole, purtroppo senza grandi fortune, compiti e orizzonti nell’ambito del metodo classico, che non le erano connaturati; arrivarono gli Imperatoner e poi i Golden Boy in abito da sartoria. E Cesarini finì per diventare il grande alibi, ma anche la cassaforte, della crisi di La – vis. In anni più recenti, poi, Cesarini, incastrata in un’operazione finanaziaria architettata dall’ex commissario Marco Zanoni, ha spostato il suo baricentro proprietario verso il Veneto.

Infine, da pochi giorni, alla guida del marchio che fu del conte Lamberto e di Giuseppe Bepi Andreaus, sono arrivati uomini della grande e piccola finanza. Rampanti finanzieri di Milano e arditi ragionieri di Trento. Di cui la cronaca, anche nel recente passato, si è già occupata.

A questo punto, dopo questa improvvisa, ma attesa, finanziarizzazione del vertice aziendale, ci sono tutte le premesse, ci pare, perché anche questo grande marchio trentino, con tutto il suo patrimonio simbolico e materiale, sfugga di mano. Sfugga dalle mani del Trentino enologico.

Cari Michele e Tiziano, risparmiateci, se potete – e sappiamo che potete – il naufragio di un grande sogno (enologico e sociale) in un incubo (finanziario). Intervenite! Con le armi che avete. Con la vostra autorevolezza politica: perché fare politica significa anche esercitare pressioni, esprimere potere di condizionamento rispetto ad un orizzonte di futuro. Ammesso che, come il nostro, anche il vostro sia l’orizzonte di un #territoriocheresiste. Se, invece, non lo è, beh allora fate finta di niente. E godetevi la domenica, fra un nastro e l’altro. Alla festa della #cooperazionechenonresiste.

[*] Michele Dallapiccola, assessore all’Agricoltura della Provincia Autonoma di Trento

[**] Tiziano Mellarini, assessore alla Cooperazione della Provincia Autonoma di Trento