Sfoglio con curiosità l’ultimo numero (luglio 2016) di Terra Trentina, la storica rivista dell’assessorato all’Agricoltura della Provincia di Trento. Mi sembra illuminante.
Gran parte di questo numero è dedicato al latte e al tema della biodiversità. E’ un racconto che si sussegue con coerenza e che sembra disegnare, finalmente, i contorni di un volto identitario e territoriale del Trentino. Fuori e lontano dall’omologazione industrialista che ha affascinato e brutalizzato altri settori dell’agricoltura trentina. Il latte di montagna, finalmente garantito di montagna, si incrocia con le suggestioni del fagiolo stortino, del mais, della mela renetta e delle patate del Tesino. Un nucleo di prodotti tipizzati da cui, forse, il Trentino può, potrebbe, ripartire. Alla ricerca dell’identità perduta.
Per contraltare, la rivista dedica uno spazio contenuto al tema vino. Ed è uno spazio occupato interamente alla cronaca ideologizzata, non a caso affidata alla voce di due tecnici, della vicenda tutta industriale della certificazione SQNPI (APE MAIA). Da una parte, dunque, l’immagine di un Trentino fresco, pulito, identitario che cerca di riconquistare spazio e reputazione, dall’altra la rappresentazione di un settore ingrigito e definitivamente intrappolato dentro i meccanismi deterritorializzati delle certificazioni europee e ministeriali, condizionate e orientate dalla grande industria e dalla grande distribuzione internazionale. Un vino con il bollino, che nasce non per creare reputazione territoriale, ma piuttosto per soddisfare i circuiti low cost globalizzati.
Trovo che l’approccio di Terra Trentina, al di là dei singoli contenuti che magari proverò ad analizzare in un secondo momento, sia estremamente realistico ed onesto. E’ il racconto di un mondo che nasce e di un mondo che muore.
Non sono sicuro che questa rappresentazione giornalistica sia coerente con un’ipotetica svolta politica in seno all’assessorato all’Agricoltura. Se fosse realmente così, significherebbe che Dallapiccola ha deciso di spingere il Trentino verso un orizzonte narrativo da cui il vino è escluso. Una sorta di capitolazione di fronte allo stritolante potere che domina il sistema vitivinicolo trentino.
Personalmente non sono d’accordo con questa impostazione: continuo a pensare che il vino sia il medium più efficace per comunicare e rappresentare il territorio. Un’efficacia che nessuna patata, nessun fagiolino, nessun latte di montagna potrà mai nemmeno lontanamente sfiorare. E, tuttavia, capisco che a volte, di fronte ad una forza soverchiante, la capitolazione è la sola scelta possibile. Ed allora, alle persone ragionevoli, non resta che cambiare strada.
Buon lavoro assessore. Io resto con i miei dubbi e le mie perplessità, ma la capisco e le auguro di riuscire a rifondare l’immagine agricola del Trentino a partire dalle patate e dai fagiolini. E dal latte, naturalmente.