Quando chiama, il vecchio prof. e decano dei giornalisti agricoli, lo fa alle 8 di mattina e la domanda anche stavolta è secca. Come la mettete voi del blog con le entusiastiche notizie che stanno venendo dal mondo del vino Trentino? Intendeva voi che non siete mai contenti. Non mi ha sorpreso perché me l’ero già chiesto nei giorni scorsi, dopo i primi resoconti dei buoni fino a ottimi risultati dell’annata che a turno le Cantine sociali hanno presentando ai rispettivi soci. Incrementi di qua, progressi di là, gran soddisfazione ovunque. La mia risposta è stata che ovviamente sono anch’io lieto del risultato, ma ho aggiunto che considero il fatto come contingente. Come lo era stato l’anno scorso quando andò in modo opposto. Il giudizio e la critica (costruttiva) si può e si dovrebbe dare, credo, sul medio-lungo periodo. E questo continua a non essere positivo, sia perché in agricoltura come nel commercio-industria non si deve vivere alla giornata, sia perché il modello “globalizzazione” non può e non deve essere l’unico in generale e men che meno l’unico per il Trentino.

Fino a non molto tempo fa, infatti, denunciavamo l’eccesso di autoreferenzialità e la mancanza di dialogo fra gli attori (quasi) tutti proni sotto la grande regìa unica. Dopo qualche anno (troppi) la prima si è un po’ affievolita, ma non è scomparsa, né ha lasciato spazio a un’opportuna dose di umiltà, mentre è un po’ migliorato il dialogo anche se siamo lontani anni luce da quello che altrove si chiama confronto democratico. Un atteggiamento tipico delle stagioni di transizione, di solito piene di paure. Paura di perdere ciò che si ha e paura di scegliere strade nuove.

Forse è ora di disincantarsi e cominciare a scegliere, altro che incrociare le dita e sperare nello stellone.

Per il Trentino, il pensiero corre al terzo Statuto, alla riforma della Cooperazione e, a cascata, alle scelte del settore vitivinicolo. Chi l’ha detto che si debba aspettare la linea d’indirizzo dei piani alti quando questi hanno dimostrato evidenti deficit di visione? La domanda è, semmai, cosa posso fare io per cambiare la situazione? La risposta, umile e costruttiva, è dialogare e convenire su una via da scegliere. Cosa ovvia per i riformisti, inutili chiacchiere per i conservatori dell’esistente.

Il punto dirimente fra i due corni è sulla tempistica del fare, posto che i primi avanzano con i piedi di piombo e i secondi sanno benissimo che fermarsi è vietato anche per loro. Il mondo del vino trentino è sbilanciato (o ha optato, a seconda delle visioni) verso il mercato globale e ciò non è certo un male, anzi, è garanzia di redditività. Dove però l’analisi deve trovare tutti d’accordo, è sulla considerazione che le caratteristiche del territorio non permetteranno ancora a lungo di sostenere il confronto produttivo con le vitienologie più estese, non fosse altro che per i nostri costi difficilmente comprimibili.

Ne consegue l’opportunità, se proprio non dovere, di riattivare una moderna e pianificata politica di territorio per avere un secondo booster specie per i viticoltori di collina e montagna. Non a parole, come si sente ripetere sia nelle assemblee cooperative non meno che in quelle dei vignaioli, ma con fatti concreti e tempestivi.

L’ uovo oggi o la gallina domani? Come dire, tanto per cominciare: è meglio pensare subito a un nuovo Consorzio Vini che progetti questa fase o progettare il futuro prossimo venturo del sistema vitivinicolo trentino che preveda anche il nuovo gestore del piano? Dico nuovo in ambedue le opzioni perché voglio sperare che l’attuale impasse non si imputi a quell’uomo di buona volontà che ha gettato la spugna, lui che non ha percepito sostegno tangibile da parte di nessuno dei timonieri. E questo è già grave di per sé, ma ci sta, a patto che ora ci si muova. Se non ora, col portafogli pieno, quando?