Riprendo in forma di post (e lo aggiusto) il commento pubblicato ieri sera in tutta fretta.
Anche oggi ho ricevuto numerosi rimproveri, anche da amici produttori, per ciò che ho scritto l’altro giorno a proposito del trasferimento della competenza sulle attività promozionali da Consorzio Vini del Trentino a Strada del Vino e dei Sapori del Trentino.
Viste le reazioni, delle due l’una: o sono completamente fuori strada, e allora vi prego di dirmelo apertamente, o non riesco più a trovare parole e argomenti per chiarire il mio pensiero.
Quindi, ci riprovo.  E che  il buon dio me la mandi buona

Purtroppo, la separazione fra Promozione e Tutela, la prima affidata alla Strada del Vino e dei Sapori e la seconda in capo a Consorzio Vini, non mi pare favorisca, come qualcuno s’illude, un processo di distinzione fra vitivinicoltura industriale e vitivinicoltura artigianale. Non mi sembra che in campo ci sia questo. A mio modo di vedere, invece, c’è dell’altro: la cristallizzazione di un modello che ha già dimostrato in passato, e fino ad oggi, di essere sbagliato fin dalle fondamenta.
La separazione fra le due competenze, che l’ordinamento consortile affida primariamente ai consorzi, manifesta, infatti, un errore concettuale esiziale dietro al quale si nasconde una scelta politica di opportunità. Questa scelta impone di restringere e concentrare il raggio di azione consortile esclusivamente attorno alla promozione internazionale sensibile ai circuiti della GDO: Vinitaly e Prowein. A detrimento delle azioni di valorizzazione territoriale, che, infatti, sono state abilmente derubricate dalla voce “promozione” alla voce “animazione”. Animazione. Perché le parole sono importanti. E questo lo sanno bene anche i timonieri e i mozzi che abitano le stanze degli scuri palazzi conciliari di Trento.
Provo a spiegare perché questa operazione esprime, a mio parere, un errore concettuale agito in mala fede. Il vino – quello artigianale ma anche quello industriale – nasce dentro il crogiolo sempre in fermento delle denominazioni e dei disciplinari, che sono la sintesi dinamica di un’analisi culturale, economica, sociale e colturale di un territorio e delle sue aspettative. È qui che si definisce il vino e da qui ne dovrebbe discendere anche l’elaborazione di una strategia promozionale coerente e organica e quindi adeguata ed efficace, che stabilisca, per esempio, cosa promuovere, dove promuovere e verso chi promuovere. Questo approccio sistemico necessita di una regia strettamente connessa alla Tutela. Se le competenze vengono separate,come si è fatto in Trentino dalla fine degli anni Novanta in poi, prima delegando la promozione a Trentino MarketingProgetto Vino, Trentodoc e tutto il resto – e oggi trasferendola alla Strada, il pasticcio è assicurato.
In questo ambito ci sono funzioni e compiti distinti. Che devono essere, e restare, distinti. Ne è prova il fatto che il presidente della Strada, che fra l’altro è un uomo e un professionista che gode della mia stima, giustamente e comprensibilmente – da presidente di un soggetto che si occupa di animazione – si disinteressa di denominazioni, di disciplinari e di Pinot Grigio, cioè di produzione e di Tutela.
Ma è proprio per questa ragione che un ente come la Strada, che nel suo DNA coltiva l’obiettivo e la prassi dell’animazione territoriale, risulta fatalmente inidoneo a condurre la regia della promozione enologica. Competenza che in ogni distretto vinicolo che si rispetti, vicino e lontano, viene agita dai consorzi in continuità e coerenza con le attività di Tutela. Mentre le Strade del Vino agiscono attività accessorie e di raccordo con la complessità territoriale e con il mondo della gastronomia, della ristorazione e del turismo. Sono compiti e funzioni altrettanto importanti, ma differenti. O sbaglio?
Per evitare di apparire astratto, provo a fare qualche esempio. Chi deciderà, d’ora in poi, se, e come, promuovere il Mueller o il Cembra o il Sorni o il Rotaliano? Consorzio Vini, la Strada, le Pro Loco, le associazioni di buona volontà? Chi sarà in grado di sviluppare un’analisi e un ragionamento coerenti con gli interessi delle denominazioni e le aspettative dei territori?
Nel comunicato stampa di qualche settimana fa, quello seguito alla recente simpatica adunata lavisana benedetta dall’assessore Dallapiccola, ho letto che si vagheggia ancora di Rassegna dei Mueller e di Marzemino e poi di Vino Santo e di Mozart. E di tanto altro ancora.
Ma il Trentino ha ancora interesse a presentarsi all’esterno in questo modo? E a promuovere mille varietà? O dovrebbe, piuttosto, concentrarsi sulla promozione delle enologie territoriali? Ecco, queste scelte, questi ragionamenti, chi li deve fare? La Strada, le Pro Loco, i comitati o il Consorzio? L’assessore Dallapiccola? Chi deve decidere di che cosa ha bisogno e di che cosa non ha bisogno la vitivinicoltura trentina, oggi e domani? Io penso che queste scelte siano pertinenti all’ente consortile in sintonia con la politica e con le aspettative dei territori. Poi, però, bisogna fare i conti con la realtà.
E la realtà è questa: in Trentino, il Consorzio da molti anni ha rinunziato a svolgere un’azione dignitosa sul terreno della promozione – del resto basta dare un’occhiata alla sua web site -, limitandosi ad un impegno esclusivo sul fronte di un paio di appuntamenti internazionali utili solo a chi agisce quotidianamente con il proprio brand aziendale i mercati della GDO, ma poco significativi dal punto di vista dell’interesse generale del territorio e della sua reputazione. E ha umiliato l’annuale Mostra Vini, riducendola ad un appuntamento che va poco più in là di un festival enogastronomico.
La scelta politica adottata alla fine di anni Novanta nasceva da questa impostazione. Ora la si è reiterata e si è reiterato l’errore di fondo: sono mancati allora, e mancano ora, una politica, e un politico, capaci di alzare la voce e di costringere Consorzio a rientrare nei ranghi e ad assumersi le  responsabilità istituzionali e statutarie che gli competono. Quelle suggerite dal buon senso. E stabilite dall’ordinamento generale dell’istituto consortile. Purtroppo la realtà è questa e così si spiega anche questa nuova (vecchia) stagione che vedrà la promozione enologica affidata alla Strada del Vino in discontinuità con la Produzione e con la Tutela.
Ne discende, che forse questa era, ed  è, una Strada obbligata. Ma ne discende anche che questo, per come è, per come è stato congegnato e per le scelte riduzionistiche che ha compiuto e che sta compiendo, non è un Consorzio.