Certe cose fanno piangere. Ti fanno piangere. E fanno incazzare. Ti fanno incazzare. Sul serio. Poi vai in giro e ti chiedono perché sei sempre così malmostoso. E così polemico. E che cazzo. C’è ne è ben donde, mi pare. Basta dare un’occhiata a questo volantone e ti vien voglia di mandare tutto a carte quarantotto: Nosiola Trentino Doc (Mastri Vernacoli Cavit) svenduto – la promozione finiva ieri – nel circuito Coop trentino a 3,7 euro/litro.

Perché siamo tutti d’accordo, vero, che le uve nosiola sono le uniche uve bianche autenticamente territoriali e autoctone del Trentino, di cui sia rimasta una qualche traccia? E, fra l’altro, costituiscono la materia prima esclusiva per l’elaborazione di quell’autentico gioiello enologico che si chiama Vino Santo. E siamo tutti d’accordo, vero, che ormai il vigneto da cui si trae questo vino è pressoché scomparso, sacrificato alle varietà internazionali alla ultima moda? Nel 2016, tanto per dire, ne sono stati vendemmiati poco meno di 6 mila quintali, nel 2015 di Nosiola (Trentino Doc) ne sono state prodotte circa 280 mila bottiglie. Insomma niente (rispetto alle decine e decine di milioni della Doc Trentino). Lo capiscono anche i bambini che il core business della viticoltura locale non transita per queste quattro bottiglie dell’autoctono bianco. Che al contrario, come tutte le cose in via di estinzione e al contempo così caratterizzanti, avrebbe bisogno di una tutela speciale, di uno speciale statuto di protezione anche sul versante commerciale della filiera. Che senso ha, allora, un’operazione promozionale – ultima in ordine di tempo, ma non unica – di questo genere? Cosa ne trae Cavit dalla vendita a quattro soldi di queste quattro bottiglie? Due soldi due che non bastano nemmeno per le mance agli uscieri e ai facchini.

Lo chiedo, così, apertamente, al presidente della centrale industriale di Ravina, il dottor Bruno Lutterotti. Che senso ha? Quale è la ratio? E lo chiedo a lui, perché Lutterotti non è solo il presidente di Cavit, è anche un viticoltore attento e serio e sopratutto è il presidente di una cantina, la Toblino in Valle dei Laghi, che sputa sangue e sudore per cercare di proteggere, valorizzare e commercializzare dignitosamente questo vino (e lo splendido Vino Santo). Da quella cantina, dalla cantina di Lutterotti, ogni anno partono circa un migliaio di ettolitri di Nosiola in direzione Ravina, posso anche sbagliarmi ma i volumi penso siano più o meno questi. E che fine fa quel vino, costruito con il sangue e il sudore dei romantici viticoltori e dei bravissimi tecnici della Valle dei Laghi? Che fine fa? Finisce alla coop, ad un prezzo inferiore di quello del Tavernello in bottiglia (su Amazon a 3,90/litro).

Le regalo un cosiglio, dottor Lutterotti, un consiglio a Lutterotti presidente di Toblino, naturalmente. Perché con addosso  la giacchetta d’ordinaza di Cavit non riesco nemmeno ad imamginarla (a proposito, e già che ci siamo, cosa c’è di vero nella voce che la vorrebbe in pista anche per la presidenza di Consorzio Vini?). Ma veniamo al consiglio. Il prossimo anno il (la) suo Nosiola lo regali. Ne regali un pallet ad ogni delegazione regionale e provinciale di ONAV, FIS, AIS, ASPI e FISAR. I sommelier ne faranno senz’altro buon uso: impiegheranno queste bottiglie nelle degustazioni durante i loro corsi, faranno conoscere questo vino ad un pubblico di consumatori attenti e curiosi: il suo vino farà un figurone (a proposito complimenti per il prezioso Largiller 2007) e lei si porterà a casa quasi a costo zero una bella operazione di immagine. E poi se ne avanzerà, ne regali un paio di cartoni ciascuno ai suoi 600 soci. E se ne avanzerà ancora, caro presidente, ne faccia vino alla spina di qualità e lo proponga a tutte le osterie del Trentino come Vino Bianco della Casa. Ne avrà senz’altro più soddisfazione che da operazioni raccapriccianti come quella illustrata su questo volantone.