Ciò che è successo fra lunedì – assemblea di Consorzio Vignaioli del Trentino– e venerdì – assemblea di Consorzio Vini del Trentino -, merita due righe di commento a botta calda, anzi ormai tiepida.
Il quadro desolante, dal punto di vista del sistema territorio, che emerge alla fine di questa settimana è sotto sotto gli occhi di tutti. E desolante è l’unico aggettivo adatto per descrivere una frattura, che ora pare incolmabile, fra due mondi, quello industriale e quello artigianale, che al di là delle buone intenzioni di tutti, hanno capito di non avere più parole da scambiarsi.
Dunque, lunedì i vignaioli hanno approvato un codice deontologico, loro lo chiamano un po’ romanticamente Manifesto, che traccia il profilo di una vitivinicoltura del tutto alternativa a quella industriale definita dalle attuali denominazioni e dalla loro applicazione pratica: riduzione consistente delle rese in campagna (-20 %), delle spremiture in cantina (70 % per i vini fermi e 60 % per le basi spumante), impegno per una transizione di massa verso il biologico, allungamento dei tempi di affinamento del metodo classico. Divieto di rivendicazione di alcune denominazioni. Obbligo di usare in etichetta il logo di appartenenza identitaria alla Fivi. Coerentemente con questa impostazione, il presidente Cesconi e i suoi 60 vignaioli hanno stabilito un principio di incompatibilità collettiva con CVT. Una dimostrazione di maturità e anche di responsabilità sociale che conclude un percorso iniziato due anni fa, e forse molto prima, e che si è  tradotto nella trasformazione della loro associazione in un consorzio, nell’apertura di una sede e di punto vendita, nella strutturazione di un servizio tecnico di consulenza per i soci. Il Manifesto conclude questa prima fase del percorso e ne apre un altra. E staremo a vedere dove li porterà e dove li spingerà: il rischio, ammesso che tale sia, è che questa impronta, l’approccio etico – deontologico espresso anche dall’obbligatorietà del marchio FIVI  in etichetta, possa appannare, o comunque mitigare, l’identitarismo territoriale  dei vignaioli. Sospingendoli verso un’idea di vino più etico che identitario, dove il tratto artigianal-professionale, brandizzato Fivi, rischia di attenuarne la riconoscibilità territoriale. Ma appunto staremo a vedere.
Nonostante tutto questo, venerdì l’assemblea di Consorzio ha tirato dritto per la sua strada: ha espletato le formalità che erano all’ordine del giorno della convocazione, ha eletto il suo presidente, ha rimpinguato il CdA, trovando anche il modo per riscattare dall’esilio Cantina La Vis. Tutto come se nulla fosse accaduto, perché la grande locomotiva del vino industriale, giustamente, deve procedere spedita in direzione ostinata e contraria a quella delineata dal piccolo mondo dei vignaioli. E non ha tempo per le stazioni intermedie. Per fermarsi a riflettere. Per provare a ricucire i brandelli di un vestito scucito da tutte le parti. Il mercato e i grandi numeri impongono efficienza, decisioni e certificazioni. Quindi avanti tutta e senza ripensamenti.  E ognuno per la sua strada. Una strada che allontana tutti dal Trentino.
Il quadro desolante di oggi ha un padre (o una madre, vedete voi). Da almeno vent’anni piazza Dante, la Giunta provinciale, ha rinunciato ad esercitare una funzione di indirizzo politico sull’Agricoltura, preferendo delegare le decisioni chiave e l’elaborazione delle strategie per il futuro agli industriali cooperativi, guidati da efficacissimi manager, di via Segantini. In questi quattro lustri, gli assessorati di settore si sono limitati alla gestione e alla ripartizione dei fondi del PSR, cosa importante ma non sufficiente, e si sono trastullati, con successi alterni, fra marchi, marchietti e proclami dal balcone. Ma niente di più. E’ stata una scelta politica, anche questa. La scelta di una politica rinunciataria, che ha preferito “lasciar fare” agli altri, assumendo un ruolo di apparente terzietà rispetto al settore; un atteggiamento che nei fatti si è rivelato un solido fiancheggiamento al potere dei più forti, che nel frattempo, però,  diventavano i cantori stonati del vino – global. Il risultato, almeno in vitivinicoltura, è quello di oggi: due mondi che si dicono, che si sono detti, addio. Un addio che è una sconfitta e una ferita per tutti.
In politica, tuttavia, non è mai troppo tardi. Si cambiano gli uomini e per fortuna si cambiano le idee. E ora, alla fine di questa settimana truculenta o chiarificatrice, a seconda di come la si guardi, mi sembra che la sola cosa che si può dire sia questa: la politica agricola, in Trentino, deve cambiare. Radicalmente. La deriva di questi giorni lo impone. A meno che non si voglia, ancora una volta, lasciar fare agli altri.
Questo è, dovrebbe essere, il tempo della riscossa della politica  con la “P” maiuscola.
E’ tempo che l’assessorato riprenda pienamente possesso, e consapevolezza, della sua funzione intima e istituzionale di indirizzo e programmazione. È tempo che l’assessorato dica quale orizzonte sogna e quanto è in grado di rischiare per raggiungere l’obiettivo. Se un obiettivo ce l’ha. E’ tempo che l’assessore Dallapiccola intervenga, per dire che una terza via esiste, è possibile e soprattutto è necessaria. So che non è facile, perché sul terreno, anzi sul territorio, è rimasto un cumulo di macerie fumanti. Ma proprio per la medesima ragione, questo è il tempo della riscossa. E degli scossoni. Le idee e gli uomini ci sono. Forse mancano gli strumenti. Uno potrebbe essere quello di una cabina di regia, una camera di compensazione, un direttorio o come si dice oggi un Tavolo di concertazione, di cui facciano parte solo il presidente Lutterotti e il presidente Cesconi e un esperto super partes delegato dall’assessore: un uomo o una donna (un  nome io ce l’avrei ma non lo svelo, per non bruciarlo e perché non spetta a me farlo) che goda della fiducia di tutti e che conosca il vino trentino come le sue tasche, a cui affidare il compito di facilitatore e garante di una mediazione reale e verosimile, che metta al centro gli interessi generali del territorio e dei suoi attori e in subordine quelli delle singole categorie. Una mediazione fra gentiluomini che faccia da apripista alla rifondazione dell’ente consortile e del sistema vino trentino in chiave unitaria.
Tutto ciò è possibile? Sono ottimista, credo di si. Il pallino, però, ora è in mano all’assessore. E dovrà essere lui a fare il primo passo, se lo vorrà e se ha a cuore, e di questo ne sono certo, la vitivinicoltura provinciale, che è anche il medium più potente e più efficace di cui disponiamo per rappresentare e raccontare il Trentino.