Domenico Pedrini in uno scatto di Mauro Fermariello - www.winestories.it
Domenico Pedrini in uno scatto di Mauro Fermariello – www.winestories.it

Come sono arrivati i PIWI in Italia? Chi ce li ha portati? Oggi la storia italiana degli incroci interspecifici sembra quasi scontata. Vent’anni fa, tuttavia, questi vitigni erano ancora un oggetto misterioso, quasi una materia esoterica. Per ripercorre questa storia ho raccolto le parole e la memoria di Domenico Pedrini, che insieme alle figlie Erika e Giulia e ai soci Mario Zambarda e Giovanni Chistè, è il deus ex machina di Pravis, cantina prestigiosa adagiata fra le rocce, il cielo e il vento della Valle dei Laghi a Lasino, in Trentino.
Fra una chiacchiera e l’altra,  Domenico ci ha anticipato anche una notizia, che merita un ulteriore approfondimento. Quale è la notizia?  Se arriverete in fondo all’intervista, lo scoprirete!

Allora Domenico, ci racconti un po’: quando ha sentito parlare per la prima volta di PIWI?

Agli inizi degli anni ’90, del secolo scorso, dopo un viaggio a Friburgo in compagnia di un vivaista tedesco di Stoccarda, abbiamo preso atto dei lavori che si stavano portando avanti con diligenza all’Università di Friburgo sulle nuove varietà resistenti all’odio e peronospora (PiWi). Già allora ci convincemmo che questa era l’unica strada percorribile per il futuro.

Cosa ha suscitato il suo interesse rispetto a queste varietà così particolari?

Il nostro interesse è nato e si è consolidato su queste varietà in quanto si potevano ottenere grandi vini con il minimo impatto ambientale.

Come è nato il progetto PIWI di Pravis?

Preso atto della bontà della ricerca dell’Università di Friburgo assieme alla stessa nel 1994 abbiamo iniziato un percorso che ci ha portato a mettere a dimora le nostre prime viti PiWi di Johanniter e di Regent, stipulando con la stessa un contratto di utilizzo ai fini della ricerca scientifica: “Anbauvertrag zur Prufung von nicht klassifizierten Rebsorten“ .

E come si è sviluppato, questo progetto- collaborazione con Friburgo?

Da questo momento molta strada è stata percorsa mettendo a dimora altre varietà PiWi, sempre per le varietà a bacca bianca con risultati eccellenti.

Quali sono state le difficoltà che avete incontrato, dal punto di vista agronomico ed enologico?

Non abbiamo riscontrato difficoltà. A livello agronomico sono varietà che si adattano bene a zone marginali e buone altitudini; a livello enologico le varietà Piwi presentano caratteristiche intriganti: come buona acidità, basso Ph, gradazioni alte e sensorialmente ottime!

E sul versante commerciale, avete incontrato difficoltà?

Al contrario: ci sono stati subito grande interesse e fermento! L’importante è non cercare di trovare similitudini tra varietà tradizionali e Piwi: sono cose diverse!

Dopo oltre vent’anni da quando è cominciata questa avventura, quale è il suo bilancio, i pro e i contro?

Il bilancio è positivissimo! Da poco inoltre abbiamo fondato assieme a produttori trentini (Filanda del Boron) ed sudtirolesi (Lieselehof) un nuovo marchio che contraddistingue i vini prodotti unicamente da varietà Piwi coltivate in montagna: Green Mountain Wine.

E il futuro, fra interspecifici e ingegneria genetica, come lo vede?

Alla Pravis ne siamo certi: l ’unica strada percorribile per il nostro futuro è nelle varietà interspecifiche.