CLAP – PAOLA ATTANASIO

Trovo  l’intervento di Mariano Giordani sull’Adige  di giovedì 15 giugno al tempo stesso tempestivo e fors’anche già superato dagli eventi. Non c’è dubbio che dopo anni di silenzi e denunce, di proposte e insabbiamenti, di attese e delusioni, il tema del rilancio del sistema vitivinicolo trentino sia tornato d’attualità in queste settimane pre vacanziere. Denunciare l’ennesimo ritardo sui cugini altoatesini è pleonastico e foriero solo di difese sempre più abborracciate. È tempo di mettere in ordine i punti di forza e di debolezza e di passare all’azione, poiché il clima è tornato favorevole. Tempestivi al riguardo sono stati gli enologi trentini che hanno messo nero su bianco linee d’indirizzo attualizzate in un documento (qui) che è stato oggetto di discussione nella Tavola rotonda dell’altro giorno a Toblino. A ben guardare le novità emerse o sottaciute nell’incontro sono di quelle che lasciano ben sperare. La coraggiosa apertura ai vignaioli portata avanti ormai da mesi dal presidentissimo Bruno Lutterotti (Consorzio Vini, Cavit e Cantina Toblino) per una unitarietà d’intenti fra tutti i soggetti con pari dignità, è stata colta da Lorenzo Cesconi con cauto ottimismo, ma chiara disponibilità. Ancor più significativa ci pare, se non proprio come adesione all’idea, almeno la non contrapposizione di Mezzacorona che direttamente o indirettamente fa capire di voler essere della partita. Non foss’altro che per tutelare gli interessi del Gruppo e dei suoi viticoltori.

Ancor più numerosi essendo quelli che si riconoscono in Cavit, va da sè che Lutterotti intenda affrontare il problema prendendo il sacco in cima e cercare di risolvere le grosse questioni che per anni i suoi predecessori hanno schivato. Si tratta di capire da che parte voglia cominciare, anche se la sua convinta partecipazione alla Tavola rotonda non permette d’intuirne gli step, egli ha certamente colto l’occasione per anticipare un’apertura su vari temi che ha sorpreso più d’uno dei presenti. Ci sarà tempo e modo di parlarne, perché l’esigenza di riportare le rese del Pinot grigio Trentino DOC nell’ambito dei vini di Qualità con la Q maiuscola, inanella una serie di revisioni e riposizionamenti anche organizzativi. Si è ribadita, infatti, la necessaria centralità di un Consorzio Vini come perno e gestore del processo, ma si è confermata anche la disponibilità degli enologi – presenti trasversalmente nei vari contesti – a continuare con il gruppo di lavoro auspicandone l’allargamento alle altre istanze in modo da trasformare il loro documento in qualcosa che assomigli a un vero Piano di medio-lungo periodo.

La necessità di aumentare i competitori, ad esempio, indicata nel sopra citato intervento di Giordani, è già convinzione anche degli enologi che, nei fascicoli di lavoro hanno tabelle comparative fra Trentino e territori vocati italiani e stranieri, dove noi siamo fuori registro per numero di Aziende che etichettano rispetto agli ettari vitati. Chiaro che in Trentino la superficie è polverizzata, tant’è che per questo è forte la cooperazione, (che si è polarizzata in pochi brand), ma è anche vero che un paio di brand non fanno un territorio. Assicureranno redditività, questi sì, e per questo vanno sostenuti, ma il territorio va interpretato da un’orchestra ben più numerosa e con un bravo dirigente. Come dire che le 150 nostre Aziende vanno triplicate senza il timore di morirne sotto il peso dei costi, sempre che i brand territoriali (Trentino, ecc.) riacquistino prestigio e – sia concesso – la cooperazione si apra a nuovi servizi ai soci e non soci, non solo per contenere i costi di produzione, ma anche per assicurare ai vini una moderna presenza sui mercati.

In definitiva c’è in giro un cauto ottimismo per la sola voglia di tornare a dibattere senza sterili polemiche e una prima traccia su cui lavorare. Se son rose fioriranno. E a noi non resta che pregare la madonna. E tutti gli angeli in colonna.