Panorama della città di Trento – Wikipedia – Franco Visintainer

Trento è il comune agricolo più esteso del Trentino. Circa 1500 ettari sono destinati alla coltivazione. Una grande superficie coltivata, non solo a vite, ma soprattutto un contesto sociale e agronomico che esprime una decisa sensibilità verso il biologico: il 30 % della produzione del capoluogo, infatti, dispone della certificazione bio. Una percentuale tre volte superiore alla media nazionale e sette volte superiore a quella provinciale. Da sola la superficie biologica coltivata a Trento rappresenta il 30 % della produzione biologica provinciale. Un’accelerazione verso la sostenibilità certificata che si è moltiplicata esponenzialmente negli ultimi cinque anni: in un lustro le aziende certificate sono raddoppiate, oggi sono un centinaio, e gli ettari coltivati sono quintuplicati: alla fine del 2016 erano 500.

Un unicum, almeno per dimensioni, in Trentino. In Valle dei Laghi e in Valle di Gresta, infatti, si ragiona su superfici sensibilmente inferiori. Un obiettivo, ancora parziale perché la tendenza appare fortemente espansiva, che si è potuto raggiungere grazie al protagonismo di un mix di attori, prevalentemente vitivinicoltori, sia industriali che artigianali, e frutticoltori, che sull’idea del biologico come strumento per creare reddito e sviluppo territoriale, hanno scommesso. E accanto a loro si sono schierati produttori di ortaggi, piccoli frutti, cooperative sociali e i consumatori organizzati nella rete dei gruppi di acquisto solidale.

Una recente indagine coordinata dall’Università di Trento e dal Consiglio per la ricerca in agricoltura  di Villazzano ha evidenziato che oltre 50 % degli agricoltori convenzionali si dichiara disponibile ad intraprendere un percorso di conversione bio e riconosce che questo metodo di coltivazione è in grado di rinsaldare, più di quello tradizionale, il rapporto fiduciario con il consumatore.

Ora, da questa situazione, che racconta di una accentuata propensione del territorio del capoluogo all’agricoltura biologica, sta nascendo qualcosa di nuovo: un processo dal basso e autogovernato che si indirizza verso la costituzione del Biodistretto di Trento. Il progetto è stato illustrato qualche settimana a margine del Festival dell’Economia e si sono cominciate a raccogliere le adesioni attorno ad un Manifesto che per ora ha un taglio prevalentemente culturale. In mancanza di un quadro normativo di riferimento, la definizione di Biodistretto  risulta inevitabilmente vaga e forse perfino generica. In termini generali con quest’espressione si intende un territorio omogeneo, in cui le azioni e la definizione degli obiettivi sono il frutto di una concertazione e di una condivisione non solo fra i soggetti produttivi ma anche fra questi e i consumatori e le istituzioni. Sullo sfondo, chiaramente, un paesaggio agricolo e sociale contrassegnato dalle tracce concrete della sostenibilità.

Di tutto questo ho provato a parlarne con Giuliano Micheletti, figura di riferimento di questo processo nato fra le campagne e la città. Viticoltore biodinamico di lungo corso e socio di VinNatur, il movimento dei vini naturali di Angiolino Maule, Micheletti coltiva la sua campagna fra le colline di Trento e Drena e produce alcune migliaia di bottiglie con l’etichetta Limen, un Merlot e un Riesling Renano biodinamici.

Quando è nata l’idea del biodistretto?
L’iniziativa del biodistretto di Trento nasce un’anno fa

Quanto misura il campo biologico di Trento? 
A fine dicembre 2016 gli ettari certificati erano 520 e nel 2017 sono in crescita

Chi sono i soggetti e i protagonisti di questa iniziativa?
Ci sono Cantina Trento Le Meridiane, Ferrari e suoi conferenti, e numerosi vignaioli, che rappresentano circa 350 ettari di vigneto certificato, poi ci sono 70 ettari di frutteto, soprattutto nella zona di Romagnano, attualmente in forte espansione, il resto diviso fra piccole ma significative realtà economiche di vendita diretta di ortaggi e altri prodotti, coop sociali e le aree di Riserva del Monte Bondone”

Quale è stato, e quale è, il suo ruolo, nel percorso che sta portando alla costituzione del biodistretto di Trento?
“Quello di aver coordinato l’iniziativa cercando di far convivere le varie anime sottolineando sempre l’aspetto culturale dell’iniziativa. Il mio essere piccolissimo produttore ha aiutato a non vestirmi del ruolo del competitore che non avrebbe aiutato”

Perché Trento, capoluogo fra città e collina, esprime un’inclinazione più marcata rispetto alle periferie e alle valli?
La diffusione di questa sensibilità nell’area, chiamiamola così, metropolitana, penso sia dovuta da un lato ad una questione culturale e ad una atteggiamento laico diffuso rispetto alle tematiche ambientali. Poi perché alcuni player importanti sia nel campo viticolo che frutticolo hanno cominciato a credere al metodo come strumento per creare un nuovo modello di agricoltura territoriale che integri produzioni di qualità e turismo”

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