“Bottiglie aperte”. Vado, non vado, vado. Oddio, Ziliani consiglia di non andare. Va bene, ormai mi sono organizzato, vado.

Tra l’altro, so che c’è una masterclass sul Trento, sarebbe sul Trentodoc ma io mi ostino a chiamarlo Trento, guidata da Andrea Grignaffini con Lucia Letrari; e non posso non andare. Ah, le masterclass sono quelle che un tempo si chiamavano “degustazioni guidate”, si vede che masterclass fa più figo.

La manifestazione si tiene nel Palazzo delle Stelline, un bel palazzo a pochi metri dalla Basilica di Santa Maria delle Grazie, nel cuore di Milano. Secondo uno schema comune nel Rinascimento, al centro si trova un cortile quadrato, anzi un ampio giardino, sul quale si affacciano i portici interni.

All’ingresso mi accoglie un omone della sicurezza, che mi indirizza verso il tavolo degli accrediti stampa e poi a prendere il bicchiere. Ringrazio il Cielo che non sia di plastica, come mi è successo al Ricetto di Candelo qualche settimana fa, per imposizione del Prefetto.

Informazioni ed iscrizioni alle masterclass, mi dicono al tavolo degli accrediti, si trovano al banchetto del Sovrano Militare Ordine di Malta, in un altro angolo del palazzo. Lì mi comunicano che la masterclass sul Trento è stata cancellata; in compenso, posso andare alla masterclass del Bolgheri Caccia al Piano, che si svolgerà da lì a pochi minuti in sala Porta.

Quattro chiacchiere con l’amico sommelier Federico Latta che è di servizio alle Cantine del Notaio (di cui parleremo più avanti) e con un brivido di orrore mi rendo conto che la masterclass dovrebbe essere già iniziata.

La sala Porta si trova al piano superiore, all’altro angolo del palazzo. Nome azzeccatissimo: infatti è contro la porta, graniticamente chiusa, che mi schianto. Da uno spiraglio della medesima scopro anche che la sala, oltre a essere chiusa, è pure vuota.

Torno giù. Mi dirigo al banco degli accrediti, dove mi dicono che la masterclass non è in sala Porta ma in sala Michelangelo. Chiedo all’omone della sicurezza, che un po’ perplesso mi manda all’altro angolo del palazzo: ma lì non trovo la sala Michelangelo.

Un altro addetto alla sicurezza mi indirizza verso il secondo banchetto del Sovrano Militare Ordine di Malta, nell’angolo adiacente del palazzo, dove mi comunicano che la masterclass è in sala Bramante (la sala Michelangelo, per inciso, non esiste). Ripasso davanti all’omone della sicurezza (sempre più perplesso) e arrivo alla sala Bramante, esattamente dietro al primo banco, da dove mi avevano mandato in sala Porta.

La mia caccia al Caccia al Piano, dopo solo due giri del palazzo su entrambi i piani, parrebbe finita. Solo che la sala è vuota, non c’è ancora la relatrice.

Scambio due parole con una collega, disperata, venuta apposta per il Trento, che si è appena sentita dire che la masterclass è stata annullata. “Collega” tra virgolette, sia chiaro, lei è una giornalista professionista, docente universitaria se non ho capito male, e io no.
Con quasi mezz’ora di ritardo sta intanto partendo la masterclass di Caccia al Piano; prendo posto, quando la collega di cui sopra viene gentilissimamente a chiamarmi per avvisarmi che la masterclass del Trento invece partirà, in sala Leonardo.

Esco, nei corridoi c’è Bruno Vespa che passeggia attaccato al telefonino. Ma si sapeva che ci sarebbe stato, doveva presentare i suoi vini, non fa granché notizia.

In sala Leonardo qualcuno c’è, nonostante i tentativi di depistaggio. La sala spoglia con le pareti alte e bianche, il tavolo al centro che sembra una specie di altare, fanno pensare più a una cerimonia di un qualche ordine cavalleresco che non a una degustazione, anzi, a una masterclass.

Si parte con Opera Nature, dalla val di Cembra, 2011 sboccatura 2017, 100% Chardonnay. Grande mineralità, verticalità, notevole freschezza, perlage fine. Sentori di mela croccante, una nota agrumata che poi evolve e ricorda nettamente il mandarino, erbe aromatiche. La bocca non è ampia, molto pulita. Uno chardonnay molto tipico.

Il Bellaveder Brut Nature 2012 ha uno splendido naso. Il vino fa un passaggio in legno, quindi si avvertono sentori di un leggero tostato (nocciola), vanigliato. L’acidità è ben evidente, il vino è fresco vivo; il passaggio in legno regala un po’ di “anzianità”, sembra che abbia qualche anno in più.

L’Alpe Regis Extra Brut 2011 di Mezzocorona ha un impatto più importante, il legno è bene in evidenza, si sentono profumi di cannella e di spezie.

L’Altemasi Pas Dosé 2009, 60% Chardonnay 40% Pinot Nero è uno chardonnay di lungo affinamento, con un colore più dorato rispetto ai precedenti. Dotato di bell’equilibrio e freschezza ha un sapore leggermente amarognolo sul finale. Emergono al naso note di miele, fiori giallo di elicriso, di balsamico.

Il Pedrotti Brut Rosé 2013, 70% Chardonnay 30% Pinot Nero, ha un colore quasi buccia di cipolla. Un leggero sentore di mirtillo e di mela rossa; è molto delicato al naso, forse troppo per i miei gusti.

Il Cesarini Sforza Riserva 1673 Extra Brut 2010, 100% Chardonnay, fa 60 mesi sui lieviti. Al naso sentori di miele e di legno.

Il Ferrari Perlé 2010, 100% Chardonnay, anch’esso cinque anni sui lieviti. È uno chardonnay più opulento, molto ben costruito, con grandi ricchezze e un grande equilibrio.

Chiude la masterclass il Letrari Brut Riserva 2010, 60% Chardonnay, 40% Pinot nero. Colore più carico, con qualche riflesso quasi dorato; Lucia dice che cerca il colore del sole in contrapposizione alla montagna, cerca la larghezza, l’orizzontalità. Sentori di mela, nocciole, un po’ di spezie. Niente legno per questo vino.

E a proposito di sentori più larghi, con la collega usciamo e torniamo alle Cantine del Notaio. Lo Charmat si chiama “il passaggio” (tutti i vini della cantina traggono il nome da pratiche notarili). Dopo il Trento, è un’immersione nel Sud; abbiamo Aglianico in purezza, una bella struttura e una complessità notevole per uno Charmat, con agrumi e frutta gialla in evidenza.

A me non dispiace affatto ma, effettivamente, siamo agli antipodi del Trento; la collega, dal canto suo, pare non gradire e si eclissa. Le ho giocato un brutto scherzo, mi sa, e me ne scuserò alla prima occasione.

Il metodo classico, “La Stipula”, è altrettanto meridionale e altrettanto interessante. Sempre Aglianico 100%, 2012 sboccatura 2017. Colore giallo quasi dorato. Crosta di pane, piccola pasticceria. Molto elegante, fine e persistente.

Poggio Cagnano è una piccola cantina che produce circa 6000 bottiglie di Maremma Toscana. In conversione biologica, lieviti naturali. I vini naturali hanno detrattori e cultori; ma in questo caso siamo di fronte a vini eleganti, senza difetti.

Il Selvoso 2014 è Ciliegiolo, Sangiovese e Merlot. In evidenza il frutto rosso della ciliegia, poi frutti rossi e note minerali. Pronto e facile da bere.

L’Altaripa 2013, Sangiovese 100%, colpisce per la sua mineralità, il sentore di pietra focaia che accompagna i profumi di frutti rossi e spezie. Un leggero tannino lascia asciutta la bocca.

Qualche tannino in maggiore evidenza, ma sempre setoso, per l’Arenario 2013, Cabernet Sauvignon in purezza. More e mirtilli, una leggera mineralità anche qui. Potrebbe valere la pena aspettare qualche anno prima di stappare.

Al centro del giardino vengono proposti dei prodotti alimentari; ci sono le mozzarelle Giordano e i grissini di Mastrocesare, di Borgomanero, alle noci e nebbiolo (“è il nostro territorio”, mi dicono).

Ma intanto nel corridoio ondeggia la folla, si agitano fotografi e giornalisti.
È arrivato Matteo Salvini ad assaggiare i vini di Bruno Vespa, a due-tre banchi di distanza da dove sono io. Questo sì che fa notizia.

Li fotografano tutti e li fotografo anch’io: dovessi mai mettere in piedi un personale, personalissimo museo degli orrori, so da che parte iniziare.