Sull’ultimo numero di Vita Trentina, il composto ed educato settimanale della Diocesi di Trento, il professor Sergio Ferrari, a margine della  cronaca della recente assemblea Cavit, abbozza un calcolo a spanne del prezzo delle bottiglie in uscita dallo stabilimento di Ravina: 2 euro. A fronte della media alto atesina di 9 euro e della media trentina delle cantine private: 4 euro.

Nel medesimo articolo si riporta fra virgolettte una dichiarazione piccata del direttore generale del gigante cooperativo, Enrico Zanoni. Il capataz di Ravina si irrigidisce quando il giornalista gli ricorda che c’è chi sollecita il sistema ad agevolare il ritorno delle cantine cooperative di primo grado ad un ruolo di protagonismo territoriale e bacchetta sulle dita con un manganello nodoso i presunti sovversorsi dell’ordine (cavitiano) costituito : “Respingo questa visione ideologica“, riponde. Come se la bussola che orienta le sue scelte non fossero dettate di un solida architettura ideologica, ma fossero figlie del caso e della necessità. L’ideologia buona, insomma, è la sua. Quella degli altri è sterco dei cattivi maestri.

Ma la cosa più curiosa, e inquietante, è ancora un altra. Ed è l’ostinato silenzio del soggetto politico, il CdA e la presidenza, del consorzione di Ravina sulla visione strategica , e quindi ideologica,  che da molti anni è appannaggio esclusivo del management. Mentre il vertice politico appare ogni giorno di più marginalizzato in un ruolo residuale che si esprime in stanche, e stantie, parole di circostanza.