Dietro il Palazzo di Giustizia, la luce del tramonto modella le colonne del chiostro di San Barnaba. La gente è disposta a piccoli capannelli e chiacchiera approfittando del tempo piacevole; i suoni sono attutiti e i toni smorzati. Siamo a Fermento Milano, organizzato da FISAR Milano e Milanovino.it.

Arrivo, e la masterclass sul Pinot Noir è già finita, ma Emiliano Marelli riesce a farmi fare lo stesso una carrellata sui vini di Pfitscher.

Sono in una situazione precaria, non prendo appunti scritti e qui me ne dolgo, vado a memoria. Le annate sono il 2013 (e ho ricordi di profumo di lamponi), il 2008, il più “piacione”, più ampio e ben equilibrato. Seguono il 2005 e il 2004, dove si insinuano note balsamiche e rimane comunque una bella acidità, che riporta un fremito della gioventù passata. Bei vini, non c’è che dire, l’eleganza del Pinot Noir ha pochi rivali.

Nel chiostro ci sono una trentina di tavolini che ospitano i produttori. Due produttori per tavolo e non più di sette-otto bottiglie: ma in questo caso si tratta di quei produttori che hanno voluto strafare; gli altri ne hanno portato quattro, cinque, qualcuno solo due.

La gente non è molta e non sarà molta nemmeno più tardi, l’evento è a numero chiuso. Si riesce a scambiare due chiacchiere con i produttori e con i sommelier, che ogni tanto per abitudine versano il vino, ma in realtà dovrebbero solo essere lì a spiegare e commentare, perché l’evento è pensato in self-tasting.

Chi vuole, qui, si versa il vino. E finalmente si tolga un po’ di sacralità a quelle bottiglie, che i sommelier servano il vino al ristorante; che nelle manifestazioni dedicate agli appassionati i sommelier facciano quello per cui hanno studiato per anni, spieghino, guidino, accompagnino: e che il vino se lo versi – ripetutamente, se crede – il convenuto. Stiamo parlando di assaggi, di degustazioni, non di un matrimonio, che diamine.

I tavolini si snodano sotto il portico, raggruppati per regione, con dei cartelli appesi alle volte a segnalarlo. Un banco apposito è dedicato ai vini dolci, opportunamente accostati ai cioccolatini di Gay-Odin.

Al centro del cortile intelligentemente sono stati sistemate sedie e tavolini, ci si può sedere con un bicchiere al sole, o meglio ancora in quell’ora che i francesi chiamano l’ora blu, quando le luci diventano caldo oro. Si può anche chiacchierare con un qualche altro astante, che per una volta non è un nemico da sconfiggere a spallate per conquistare un sorso, ma uno verso il quale ti puoi voltare e sorridere. E si può cedere galantemente la precedenza a una signora invece di cercare di presidiare, approfittando della propria stazza, la posizione ottenuta.

Tornando al vino, sempre di Pfitscher, il Sauvignon 2016 al naso offre profumi di frutta gialla, albicocca, pesca. Ha una bella verticalità e freschezza in bocca, sufficientemente persistente. Lo Chardonnay 2016 ha sentori di pera e mela matura, poi, più lontano, si avvertono salvia, banana, un leggerissimo aroma di vaniglia; quest’ultimo dovuto al fatto che il 30% del vino trascorre qualche mese di affinamento in barrique.

Il Gewürztraminer 2015 di Bolognesi è molto tipico al naso al primo impatto, con un buon profumo di rosa e in sottofondo un profumo di fragola, ma attutito. Di chewing-gum alla fragola, concludiamo con un sorriso tra me e un sommelier: ma è talmente bizzarro questo descrittore che lo terremo per noi, non lo diremo a nessuno.

Il Greco di Tufo di Sertura 2015 si presenta al naso con una forte nota minerale, poi qualche leggero fiore e frutti bianchi. È molto sapido in bocca.

Il podere Marella in Umbria è un relais di lusso nella campagna umbra, oltre che un’azienda agricola. Qui si producono vini biologici, tra cui un Marella, IGT per il 70% da uve Grechetto, il resto da Vermentino. Ha un leggero fruttato al naso, è molto morbido all’ingresso in bocca e fresco, quasi fresco vivo, con un leggero ammandorlato sul finale di bocca.

Nel Lazio, Stefanoni produce un “Est! Est!! Est!!!” che offre al naso sentori erbacei, un leggero ricordo di peperone, note balsamiche. In bocca è sapido e intenso.

Il Roscetto è un vitigno autoctono del Lazio, recentemente riscoperto. L’interpretazione di Stefanoni vede metà del vino affinata in tonneau e metà in acciaio. Il risultato ha profumi di mela matura, che virano verso la mela o la pera cotta. Poi qualche nota dolce che ricorda fiori gialli di elicriso, miele di acacia e uva passa.

In Toscana, Comparini produce Le Pietrine, un taglio bordolese 65% Cabernet e 35% Merlot. Nell’annata 2012 troviamo prugna e composta di prugne al naso, un’idea di erbaceo, di peperone giallo in lontananza, note balsamiche.

Non tutte le ciambelle riescono col buco e non tutto il vino può diventare “Le Pietrine”: quello che non ce la fa, diventa “Rinnegato”. Che ha un bel profumo di amarene, una bella freschezza in bocca. E un nome spettacolare.

Le luci si fanno più calde e la notte più scura. Il Fermento continua alle mie spalle, in un leggero sobbollire.