La prolusione di Francesco Spagnolli

[#giornataveronelli] – Le idee e le intuizioni di quel personaggio straordinario quale è stato Gino Veronelli sono sempre risultate geniali, anche se a volte tutt’altro che facili da realizzare.

Sul finire degli anni ’70, Lui era solito trascorrere un periodo di vacanza (breve) all’Hotel Bellavista di Levico, ed in una di queste occasioni, per la precisione nel pomeriggio del 5 agosto 1978, partecipammo insieme ad una trasmissione, in diretta e naturalmente sul tema del vino, dai microfoni di Radio Stivo al lago di Cei. Al rientro (eravamo in macchina assieme), si fermò all’altezza dell’abitato di Cimone (per la precisione della fraz. Covelo) per indicarmi alcuni vigneti, in parte abbandonati e frazionati da una miriade di muretti a secco che occupavano le ripide pendici sul lato opposto della valle; mi disse semplicmente: “Francesco, rimboccati le maniche, perché là si potrebbe fare un’altra Champagne!”.

Lui conosceva perfettamente gli spumanti champenois (allora si potevano chiamare così) che, con l’aiuto di mio padre e di mio fratello, producevo in quel di Aldeno, ed apprezzava, oltre alle bollicine, anche le mie conoscenze spumantistiche, per cui non mancava mai di chiedermi collaborazioni per i suoi scritti, per vari convegni e per le sue degustazioni.

Per questo fu particolarmente entusiasta quando (intanto, però, eravamo arrivati al febbraio 1984), gli comunicai di aver effettuato i primi acquisti: sei particelle fondiarie per poco più di 2500 metri quadrati, estese su tre terrazze contigue, alla quota di 600 m s.l.m., esposte a sud-sud-est, su terreno abbondantemente calcareo. Per me fu subito occasione di sperimentare: a parte i tre vitigni classici del tempio delle bollicine, misi a dimora diversi cloni di Chardonnay Pinot nero e Meuiner su ben cinque portainnesti differenti, mentre per il sistema di allevamento scelsi il Guyot e su una piccola parte la pergola semplice.

Con il passare degli anni la “Vigna di Cimone”, tra l’altro gli acquisti si erano spostati dall’originaria zona di Presano ad un area quasi contigua denominata Rori ( dove allignavano suoli ancor più ciottolosi e quindi più magri), si andò quindi progressivamente espandendo fino ad oggi, arrivando a raggiungere una superficie totale di quasi 3 ettari, rappresentando, contrariamente alla situazione tradizionale di frazionamento, un anfiteatro tutto insieme per una miriade di sperimentazioni colturali nel settore della spumantistica.

Ma in parallelo, anche in cantina procedevo ad effettuare diverse prove di vinificazione, soprattutto confrontando i risultati ottenibili con l’impiego di differenti ceppi di levito in diverse formulazioni, ed utilizzando varie proposte di coadiuvanti di chiarifica non tanto per i mosti, quanto piuttosto per favorire lo scorrimento del deposito sulle pareti della bottiglia nella delicata fase del “remuage” realizzato sempre e tassativamente a mano sulle tradizionali “pupitres”.
Nelle “prove tecniche di spumantizzazione”, soprattutto in quelle che avevano per oggetto i vitigni e la fase di maturazione dell’uva, ebbi modo di coinvolgere parecchi studenti dell’Istituto di S. Michele (allora insegnavo chimica viticolo-enologica) che, con le loro tesi, effettuarono numerosi lavori sperimentali per giungere alla dimostrazione che nel “sito” di Cimone esistevano condizioni pedoclimatiche tali da influenzare sensibilmente l’andamento della maturazione delle uve base spumante, soprattutto se i dati chimico-analitici e statistici venivano confrontati con quelli degli stessi vitigni, ma coltivati in Val d’Adige a quote altimetriche nettamente inferiori (200 m circa).
Anche se non trascorreva più le vacanze a Levico, Gino non mancava mai di frequentare assiduamente il Trentino vitivinicolo e di scriverne dei vini, e così venne a tagliare il nastro di inaugurazione della tenuta (1995): fu proprio in quell’occasione che volle che lo accompagnassi a fare una passeggiata tra i vigneti, per osservare da vicino (oramai aveva perso parecchie diottrie) le mie innumerevoli sperimentazioni: si ricordò della discesa da Cei (di quasi vent’anni prima) e mi chiese di indicargli, dall’altra parte della valle, il punto dove si era fermato con la macchina; a dispetto della sua ben nota originalità e fluidità nello scrivere, questa volta nell’esprimersi fu del tutto lapidario: “Bravo!”.

Il 29 novembre 2004, Gino, lasciò questo mondo terreno, e, quando due giorni dopo mi recai a Bergamo per la cerimonia funebre, il nodo alla gola e il lacrimare degli occhi, determinati entrambi da una montagna di ricordi, non mi permisero di proferir parola e nemmeno di esprimere un sentito grazie; dentro il cuore, però, mi proposi che prima o poi avrei continuato sulla strada delle bollicine, anche e soprattutto per onorare la sua memoria.
Fu così che il 22 ottobre 2006, ebbi modo d’inaugurare la nuova cantina di Cimone con il preciso intento di vinificare e spumantizzare sul posto quelle preziose “uve di montagna”. Anche in questo caso, tuttavia, la realizzazione dell’idea non fu affatto immediata: mancavano ancora prove, deduzioni, conferme… continuarono quindi le sperimentazioni.
La svolta decisiva risale a quando mio figlio Alvise ha deciso di avvicinarsi al mondo delle bollicine. Fu così che piano piano nacque in me la voglia di portare a compimento, o meglio, nella “flûte”, quella lampadina di Gino, che si era accesa quarant’anni fa. Evidentemente l’aria delle vigne e della cantina di Cimone, forse con la complicità dello “Spirito di Gino”, che di tanto in tanto, magari per nostalgia, aleggiava ed aleggia sopra loro, assieme al non tanto recondito fascino delle bollicine avevano fatto il loro effetto.