L’impresa visionaria di Bruno Zanotelli e Alfio Garzetti nella spumantistica trentina finisce qui. Purtroppo.
Il Tribunale di Trento ha nominato il curatore fallimentare, il dottor Alberto Bombardelli, di Opera Vitivinicola in Valdicembra.
Dopo dieci anni di successi commerciali e di bottiglie una più buona dell’altra, quindi, i fondatori di una delle maison più prestigiose e arrembanti della denominazione TRENTO, sono costretti dal destino cinico e baro (le ferree leggi dell’economia di mercato) a cedere la mano. L’adunanza dei creditori è stata fissata il prossimo 22 marzo.
Opera era nata nel 2007. L’intuizione bella e geniale, come un bel sogno sgorgato come per magia fra i lunari terrazzamenti cembrani, era nata da due uomini che provenivano da altri mondi, dall’edilizia e dal terziario; mondi lontani dal vino e dalla vigna. Mondi che il metodo classico lo conoscono solo per le cene d’affari e i banchetti fra amici. E magari per i night club. Zanotelli e Garzetti, Bruno e Alfio, però avevano capito che la Trento poteva essere un investimento profittevole. E così avevano messo in cantiere il loro progetto: una casa vinicola dedicata esclusivamente al metodo classico, quasi un unicum nel panorama della spumantistica trentina.
In dieci anni Opera è cresciuta. Tanto. Fino ad arrivare ad un fatturato di mezzo milione a cui corrispondono circa 50 mila bottiglie, spalmate su differenti tipologie, tutte posizionate su una fascia di prezzo medio – alta. Poi è capitato quello che è capitato: dissidi fra i soci, l’effetto domino di operazioni extra spumantistiche. Errori gestionali. Un insieme di fattori che si sono tradotti in oltre un milione di euro di perdite.
Ma questi sono tutti affari privati. Più o meno.
Opera è stato un grande sogno.
È stata grandi bottiglie. Bottiglie da manuale. Bottiglie che hanno fatto grande la notorietà del Trentino e della denominazione TRENTO. Come il Nature 2009, un mostro di eleganza, costruito sapientemente, minuziosamente, dosando acidità, mineralità e frutto dello Chardonnay cembrano. Uno di quei bicchieri da ultimo desiderio del condannato a morte. Uno di quei bicchieri che fanno capire anche ad un asino astemio la differenza fra il vino e un lampadario.
A Bruno e ad Alfio, comunque siano andate le cose, la TRENTO e il Trentino, e di questo ne sono arciconvinto, debbono essere gradi. Devotamente grati. Perché ci hanno insegnato a sognare.
Cosa sarà di Opera domani? C’è solo da augurarsi che a prendersi cura di questa eredità gravosa e onirica, alla fine del procedimento fallimentare, sia qualcuno che sappia ancora sognare. E sappia farci sognare ancora. Come Bruno e Alfio.
Le voci che si rincorrono in questi giorni raccontano di un interesse concreto per l’azienda da parte di uno dei soci di minoranza di Opera: l’industriale del beverage Marcello Rosa, patron di Dolomatic. Che della Vitivinicola oggi controlla il 20 %, pur non avendo mai avuto alcun ruolo amministrativo nella gestione della maison cembrana. Chissà. Forse è vero, forse no.
Lui per il momento smentisce; intervistato al telefono poco fa driblava la domanda così: “Me lo sta dicendo lei, che sarei interessato ad Opera”. Poi una battuta per sdrammatizzare: “Avevo acquistato quote solo per l’autoconsumo… . Comunque, staremo a vedere cosa decideranno il tribunale e curatore fallimentare… ”.

Già, staremo vedere.