Entro il 2020 le municipalità soppresse in Trentino saranno quasi 90; con un saldo negativo, fra soppressioni e nuove istituzioni, pari a – 51. Un primato nazionale, da primi (o asini) della classe: in Italia nei primi due decenni degli anni Duemila sono stati soppressi poco più di 250 Comuni. Di quella che pareva essere norma cogente (ora fra l’altro non lo è più),  tutti, insomma, se ne sono impipati alla grande. Tranne noi. I trentoni.
Nello stesso periodo, nessuna Regione a Statuto Speciale, senza parlare di quelle ordinarie, ha messo in campo una spietata operazione di disarticolazione delle autonomie territoriali e di smantellamento dell’autogoverno locale, pari a quella architettata e portata a compimento in Trentino dal blocco di potere di ispirazione autonomista.

Un furto di partecipazione democratica che definisce la sua natura in un disegno di dominio violento sui territori, in un architettura di asservimento repressivo agli apparati burocratici centralizzati; un devastante attentato politico all’autonomia di base che ha preso la forma della verticalizzazione tecnocratica e concentrazionistica e che si è intersecato con convergenti processi collaterali di natura accentratrice: le fusione delle cooperative di credito, gli accorpamenti delle istituzioni scolastiche,  quello dei corpi di polizia municipale e l’istituzione, perfortuna naufragata sul nascere, delle Comunità di Valle.
Un inesorabile progetto politico repressivo che ha per obiettivo il controllo e l’orientamento capillare del consenso e che ha impoverito irrimediabilmente i territori di democrazia, di politica e di socialità
Le radici dello scempio vanno ricercate nella scellerata tentazione cesaristica di matrice dellaiana dei primi anni Duemila, di cui il centro sinistra autonomista si è fatto consapevolmente esecutore solerte e zelante. E spietato.
E non valgono, qui, le argomentazioni che afferiscono alla densità popolativa dei distretti territoriali o alle peculiarità delle aree di montagna.
Province con densità abitativa inferiore rispetto a quella del Trentino (86/km²) hanno trovato il modo di evitare la coercitiva e violenta scelta fusionistica, salvaguardando le forme originarie dell’autogoverno di base.
La Provincia di Cuneo – ma siamo nella terra di Barbaresco e di Barolo, del Barbaresco e del Barolo – , pur in presenza di micromunicipalità rispetto alle quali quelle del Trentino appaiono (apparivano) metropoli, ad oggi non fa registrare ancora alcun accorpamento; eppure, con una popolazione di 590 mila abitanti e una densità abitativa pari a quella del Trentino, conta 250 municipi, di cui un centinaio collocati nella fascia critica fra i 50 e i 500 abitanti.
La Provincia montana di Sondrio – ma forse lì sono montanari sul serio e non simpatiche figurine da poster ad usum di Trentino Marketing – con una popolazione di 182 mila abitanti e 78 Comuni, ha varato 2 sole fusioni.
Restiamo ancora al nord delle autonomie speciali. La Valle d’Aosta: 130 mila abitanti, densità 39, Comuni 74 e nessuna fusione.
L’elenco potrebbe continuare e si potrebbero indagare con esisti altrettanto sorprendenti molti distretti del Meridione, delle isole e altri ancora dell’arco alpino. Ma mi fermo qui.
#seguirabrindisi ai nemici giurati del territorio. E dell’autonomia.