O le ami o le odi.
Sto parlando delle ostriche, che sono state protagoniste di una serata organizzata recentemente dalla FISAR Milano.
È stata una serata molto interessante. Innanzitutto, ho apprezzato l’idea di fornire una tovaglietta con dei grafici simili a quelli che si usano per valutare l’abbinamento cibo-vino. Erano grafici un po’ semplificati, ma molto utili per parlare della teoria e della pratica dell’abbinamento. E del fatto che “in teoria, la teoria e la pratica coincidono; in pratica, non sempre è così”.
Le ostriche sono state fornite da un locale specializzato di Milano, “La Cozzeria” e illustrate una per una dall’appassionata proprietaria.
L’ostrica si nutre di fitoplancton e filtra fino a 15 litri di acqua all’ora. Si capisce bene l’importanza del luogo dove viene allevata, di cui assorbe ogni cosa.
Le ostriche apportano sali minerali, iodio, calcio, vitamine. La loro vita può arrivare a trent’anni.
Si mangiano vive, dopo aver reciso il muscolo che le tiene chiuse e che tiene in serbo l’acqua di mare insieme alla quale si consumano. Qualcuno giura che, essendo degli organismi estremamente primitivi, non provano alcun dolore e per questo vengono consumate anche da qualche vegetariano. Sarà: a me sembrano vegetariani piuttosto indulgenti con sé stessi.
Le ostriche vengono consumate ancora dalla preistoria. Il primo allevamento importante di cui si ha traccia era di Gaius Sergius Orata; Nerone era un appassionato intenditore.
Si distinguono le ostriche piatte, più delicate; e quelle concave, più saporite.
I vini in abbinamento sono:
Gavi DOCG S. Seraffa 2016: minerale, ma non marino; sentori di fiori gialli, frutta gialla, mentuccia; corpo leggero, buona acidità, buon equilibrio
Bordeaux Blanc AOC Château de Bonhoste: minerale, talco, frutta tropicale, vaniglia, pietra focaia, balsamico;
Sancerre Blanc Domaine Serge Laloue Les Creots: sentori di pompelmo, salvia, l’impressione di essere un gradino più su dei primi due;
Infine, il Terresinis 2016 Valle del Tirso IGT Cantina Sociale della Vernaccia. Note minerali, vaniglia, zolfo, rosmarino, un leggero tannino.
Le prime due ostriche sono giovani e un po’ “selvagge” nei loro sapori, con una forte salinità.
Premessa: ogni ostrica è proposta due volte, sicché le prime due ostriche sono in realtà quattro e questo permette di giocare un po’ con gli abbinamenti, abbinare due vini diversi allo stesso tipo di ostrica. Per separare e neutralizzare i gusti tra un’ostrica e l’altra serve mangiare un po’ di pane e burro.
Con la prima ostrica, la Fine de Claire, il Gavi viene amplificato nei suoi profumi, al retrolfattivo si sente più forte la frutta gialla, ma poi scompare; il gioco è più equilibrato con il Bordeaux, la bocca rimane più neutra.
La seconda, Fine de Bretagne, coltivata per tre anni a Prat-Ar-Coum sovrasta ancor di più il Gavi. L’abbinamento con il Bordeaux, che sulla carta pareva il migliore, si rivela invece un mezzo fiasco. Sensazione metallica in bocca e bella lezione imparata: gli abbinamenti sulla carta sono carte da decifrare, non regole assolute. Serve esperienza.
Si passa alle ostriche speciali. Speciàle de Normandie. Utah Beach, una delle spiagge dello sbarco alleato: oggi lì si coltivano ostriche. Che vanno letteralmente a ruba, devono essere sorvegliate. Del resto, sono allevate a lungo, da tre a cinque anni in mare aperto.
L’ostrica è molto meno sapida delle precedenti, è più carnosa, più strutturata, i sapori sono più morbidi e più complessi. Se prima avevamo in evidenza il sale, il mare, le alghe, con un retrogusto quasi vegetale che ricorda un po’ il cetriolo, ora abbiamo qualche ricordo di frutta secca, come di burro di arachidi.
Molto bello l’abbinamento con il Sancerre, si esalta il profumo di mango del vino. Il Bordeaux Blanc, di nuovo perfetto sulla carta, delude ancora: emergono sensazioni amaricanti e terrose.
Si passa alla coppia di ostriche irlandesi: sono ostriche piatte da Galway. A Galway si tiene anche il più famoso concorso di apertura ostriche al mondo, a fine settembre. Nell’ultima edizione ha vinto, se non ricordo male, un finlandese, che ha assistito alla proclamazione impassibile. Si è anche fatto costruire un coltello apposta, costosissimo pare, per poter primeggiare. Contento lui.
Le ostriche di questa sera hanno anche un certificato di nascita, sono del 2014. Nel caso delle nostre ostriche, se ne alleva solo una per ogni metro quadro di superficie marina; si può arrivare ad avere cinque metri quadri dedicati ad una singola ostrica.
L’ostrica irlandese è più burrosa della precedente. Il Sancerre, che aveva entusiasmato con l’ostrica normanna, qui lascia un po’ di acidità e qualche sensazione spiacevole. Perfetto invece, sorprendentemente, il Valle del Tirso. Alla faccia degli abbinamenti regionali.
Si finisce con una, unica, ostrica fuori catalogo e fuori programma. Speciale de Claire, tre anni in mare aperto, medaglia d’oro al concorso agricolo di Parigi, bagnata con un sorso di whisky Laphroaig invecchiato dieci anni. Et voilà.