Ho letto solo oggi su L’Adige, a firma di Tiziano Bianchi, l’intervista a Elisabetta Foradori, sul suo Granato e sulla sua visione del mondo.
La Foradori l’ho anche sentita parlare diverse volte e mi piace molto il suo modo aggraziato e mite di dire le cose.
Tuttavia in ogni sua manifestazione trovo il messaggio che lei trasmette, estremamente antipatico. Traspare una specie di superiorità: lei ha capito tutto e io non capisco niente. Prendendo in prestito le parole usate nell’intervista, probabilmente mancano i fondamentali anche a me.
Però questa accettazione del non spiegato e del non spiegabile, che è insita nella biodinamica, fondata fra l’altro su teorie di cui vogliamo prendere solo il bello e il buono, ma omettendo di ricordarci quante cose strampalate ha scritto Steiner, questa accettazione che sfocia nel fideistico mi provoca una specie di prurito.
Intendiamoci, io credo che la Foradori non ci parlerebbe neanche con me, dato che lei si pone come una massima autorità, -è pur sempre la Regina del Teroldego, no?- e come tutte le regine mi sembra abbastanza indisponibile a trattare con gli incolti. Ma anche io avrei una certa difficoltà a parlare con lei.
La sua idea di vino, così elitaria, così difficile, mi ingenera lo stesso tipo di timore che mi ingenerano alcuni sommelier professionisti, per cui il vino, invece che una cosa gioiosa e serena da bere perché ne ho voglia e mi piace e mi fa star bene in compagnia, diventa una oggetto esoterioa: posso bere solo se capisco i fondamentali, ed allora, come davanti ad un sommelier torvo, preferisco non sbilanciarmi per paura di sbagliare. Allo stesso modo avrei difficoltà a interloquire con una persona quando non capisco l’importanza di avere un bosco a fianco della vigna e quando non capisco tutta una serie di cose che, impegnato come sono nel mio lavoro fatto di carte e di burocrazia, non ho né il tempo né la voglia di capire. Posso solo fare la figura dello sprovveduto.
In realtà mi piace molto il fatto che lei sia una bastiana contraria, perché lo sono anche io in molte cose. Ma non mi piace questa idea di alterità che emana sempre dalla sue interviste.
E questo si trasmette ahimè sul suo vino: ho assaggiato il Granato qualche volta, non ho una passione per il Teroldego in generale, ma diciamo che la distanza istintiva che provo per questa vignaiola si riflette anche alle sue produzioni.
Il mondo è pieno di vini, e per quanto è possibile, proprio sulla base dell’insegnamento di Sangiorgi che mi è sempre molto caro -fra l’altro ho una collezione quasi (ahimè quasi) completa di Porthos – cerco sempre di più anch’io la naturalità e mi sento distante dalla produzione massiva delle commodity  del vino, tuttavia questa personalità della Foradori proprio non mi piace, e quindi compro qualcos’altro. Niente male tanto vende tutto ugualmente non credo che sia un problema per nessuno.
Questa convinzione è una cosa di cui non vado fiero, perché continuo a interrogarmi se non sia perché ha successo, se non sia perché è una donna. Ma non è così: ammiro molto chi si impegna -uomo o donna che sia- ed ammiro molto chi trova la sua strada, solo che questa nebbia del biodinamico e questi atteggiamenti sacerdotali  proprio non li sopporto.