Fatta la tara a questa classifica – che per intenderci è curata da Luca Gardini, il sommelier showman che fra le altre cose cura la selezione dei vini V.I.P. di Eurospin -, dicevo fatta la tara a questo, come a molti altri premi e classifiche, sono convinto che il problema del Trentino non sia il vino. Il problema, al contrario, è il Trentino.
Provo a spiegarmi meglio: non è difficile trovare in Trentino almeno dieci vini da campionato mondiale (basterebbe fermarsi alla denominazione rotaliana). Purtroppo questi vini, che esistono e probabilmente qualitativamente potrebbero farla in barba alla maggior parte degli alto atesini, nascono in Trentino, una terra del vino senza territorio; dolosamente deprivata di una narrazione territoriale, perché estranea e perfino inutile alla produzione industriale su cui si regge il sistema vino provinciale. Insomma è un vino senza territorio e il vino senza territorio, senza contenuti metaenologici, è un vino merce. Al pari di un bullone. Esattamente il contrario di ciò che accade in A.A. o nella maggior parte dei distretti del vino del mondo.
Un esempio banale: anche quest’anno, e non è la prima volta, è saltata Mostra Vini del Trentino. Ed è saltata nell’indifferenza generale. Si sarebbe dovuta fare, come da tradizione, a maggio, ma a maggio c’erano gli alpini, si disse. A quel punto qualcuno ventilò una data di settembre,  ma poi 
ci si accorse che settembre è tempo di vendemmia e di sagre. E così Mostra Vini è saltata i nuovo. Ed è saltata, così come negli ultimi dieci anni è decaduta più o meno a livello di sagra paesana seppure molto patinata, perché una mostra seria, un’anteprima del vino dell’annata – come si fa in ogni distretto vinicolo che si rispetti – è ininfluente rispetto al target commerciale degli oligopoli che dominano la scena locale: l’80 % del loro fatturato infatti, si produce all’estero con un focus sui brand aziendali e non sul brand territoriale.
Amen e #seguirabrindisi