Era un pezzo che speravo di fare quattro chiacchiere con Marta Mondonico, sapevo che era un serbatoio di storie: storie di vino e di tenacia e di intuito, del caso che diventa passione e, dopo un po’, ti scorre nelle vene.

Quindici anni fa o poco più, mi racconta, lei e il marito comprano questa casa nella Bergamasca, con un po’ di vigne. Era lui ad avere l’attrazione per il vino ma una sera se ne esce a dirle, cara non ce la faccio, al vino pensaci tu.

Lei si vede crollare il mondo attorno, il suo lavoro è tutt’altro, fatto di bambini in difficoltà e di lingue orientali; in più è astemia, non perché il vino non le piaccia ma perché non lo regge. Capisce che “la vita le offre un’opportunità” e ci prova: farò il vino migliore possibile, risponde. Studia giorno e notte, enologia e viticoltura, si circonda di persone dedicate e competenti.

La prima bottiglia etichettata, la prima in assoluto, la spedisce a un concorso a Roma, organizzato da Ian D’Agata e dedicato alle donne del vino. Se ne dimentica, ovviamente. Qualche settimana dopo è lì a ritirare il primo premio, c’è una foto sua con l’allora ministro Alemanno, era il 2005 e la bottiglia del 2002.

Ha lo sguardo di chi vede il mondo attorno a sé e lo trasforma, con la dolce fermezza dell’insegnante che è stata. Per prima cosa, ha trasformato la cantina. La dottoressa dell’ASL che era arrivata per un’ispezione le ha chiesto, prima se fosse la stessa cantina cui era abituata, e poi se in cantina desse la cera.

Produce pochissime bottiglie; negli anni si sono accumulati i premi, il maggior mercato per il suo taglio bordolese oggi è Bordeaux.

Ancora oggi, dopo diciassette anni, si ritiene agli inizi. Potrebbe fare ventimila bottiglie, ne fa ottomila, alla ricerca della qualità.

Racconta dei vicini che la guardano con sospetto; quando fa la vendemmia verde per esempio, lasciando a terra un tappeto di grappoli, dicono: “la sciura da Milan l’è matta”. Contro i moscerini che attaccano in particolare il Cabernet, usa acqua e zucchero che fa brillare come gioielli gli acini al tramonto e fa scuotere la testa ai vicini. Intanto attira i predatori naturali, che mangiano acqua e zucchero, ma mangiano anche i moscerini.

E i vicini scuotono sì la testa, poi però le chiedono come si fa.

Il Donna Marta rosa è un rosato elegante, “un vino per l’estate”, a base di merlot, con i profumi di cipria, fragola, anzi di confetto o di chewing gum alla fragola, qualcosa di burroso, una freschezza piacevole. Aperitivo, sushi, verdure, risotti, arrosti di carne bianca, ce lo si può giocare in mille modi. Premiato con una medaglia a Berlino, a Milano si trova al bistrot Armani. I rosati, mi dice, stanno vivendo un momento di grazia, la gente si è resa conto che è un vino che ha un suo spazio nei menu, una sua dignità e una sua piacevolezza.

Rosso Le Mojole, 60% Merlot, 40% Cabernet Sauvignon. Gesso, amarena e fragola al naso, è un vino facile da capire, dice Marta, si devono bere vini buoni tutti i giorni, aggiunge, e infatti questo rosso viene via a 8 euro + IVA.

Il Donna Marta rosso è il classico taglio bordolese, 50% Merlot e 50% Cabernet Sauvignon, fa 22 mesi di botte. il 2015 lo terrei in cantina ancora un anno o due, c’è l’acidità ancora leggermente da domare, ma è già un gran bel vino. Il taglio bordolese, dice Marta, è come un matrimonio. È l’incontro di due soggetti che sono completamente diversi, bisogna lasciare il tempo di conoscersi e di apprezzarsi.

Amarena, fragola, spezie, anche incenso; il Cabernet si avverte in lontananza ma conferisce struttura, tannino, qualche sentore vegetale. Il 2012 si era posizionato esattamente dietro allo Chateau Leovillle Las Cases nel confronto alla cieca di qualche settimana fa: appunto, come avevo scritto allora, un gradino sotto il cielo. Premi, non li ho contati, saranno almeno uno all’anno.

Il Merlot 2015 è “il Merlot”, perfetto di una perfezione quasi irritante. L’edizione in purezza del Merlot o del Cabernet viene prodotta solo se le condizioni sono ottimali; il Cabernet è stato prodotto solo una volta in 17 anni, pluripremiato, “la bottiglia sembrava il petto di un generale russo”. Si ritrovano in questo Merlot amarena, fragola, spezie dolci, anche qui l’incenso; grande morbidezza, rotondità al palato, con un leggero tannino. Anche per questo vino c’è lo spazio per invecchiare un po’: però da single, a differenza del taglio bordolese non è un matrimonio ma una fiera solitudine.

La grafica delle etichette ha un taglio, che ricorda i tagli di Fontana: lui, che era uno spazialista, diceva: andate oltre, guardate oltre il taglio. Marta ha adottato lo stesso taglio per chiedere al consumatore, all’appassionato, di andare oltre il bicchiere, di capire il lavoro, la fatica, l’impegno, la passione che c’è in ogni bicchiere di vino.

Storie, storie, continuano le storie, una più affascinante dell’altra.

Per esempio, un po’ di anni fa, si era messa in mente di andare in Romania a fare il vino. Trovata una collina di 400 ettari adattissima allo spumante, a nord di Bucarest, voleva costruire anche una scuola “perché tu quando vai in un posto non puoi solo portare via, devi anche dare”. Sulle mappe catastali il sapore del tempo che fu, c’era ancora lo stemma asburgico. Ma poi la proprietà era frammentata fra tanti proprietari, sorsero difficoltà su difficoltà e non se ne fece niente, un sogno sfumato. Ma forse, meglio così.

I progetti sono lo stesso tanti, e ambiziosi. Per esempio, un “taglio bergamasco” con la Merera, abbandonato ai tempi dei nonni per la bassa resa, ma che darebbe sostegno ad acidità e colore. E i bordolesi, muti.

Verso novembre, ci sarà “Non solo rosso” all’hotel Devero, a Cavenago di Brianza. Ci sarà le Mojole, con gli altri produttori della Valcalepio, per esempio il sorprendente taglio bordolese della Caminella, o gli splendidi vini del Castello di Grumello. Ci vedremo a novembre, per altri vini e altre storie.