Ed ecco, non ci sono più eventi, non più serate, le bottiglie raccolte in casse che viaggiano per corriere quelle sì, ci sono. I territori debolmente resistono, facendosi spedire.

Ma chissenefrega delle mie degustazioni di bottiglie randagie su furgoni: rimane la memoria, rimangono quei post che non ho scritto, per pigrizia o per mancanza di energia, quando i pensieri sono vuoti o amari e la tastiera è troppo distante per le mani.
Rimangono nostalgie di vino e di un tempo che tornerà, forse, ma non presto, e lo farà cautamente, quando lo farà.

Certo, i sentori se ne sono andati, e anche le bottiglie. Non quelle che abbiamo bevuto, ça va sans dire, ma le loro sorelle, anche quelle sono andate, già una nuova annata è arrivata: che senso avrebbe, ha, parlarne?

Quel che c’è è quel che è rimasto, le cose importanti forse; o forse solo le impressioni più forti, distillate dal tempo, allontanate da uno spazio impraticabile e ora ostile, improvvisamente.

Fresca mattina d’agosto in val di Cembra, siamo quattro in visita: due giornalisti, una delegata AIS e io.

I vini sono freschi, minerali; l’Oro Rosso con i suoi profumi di frutta gialla, l’odore di pietra, la crosta di pane e il burro che insieme ricordano la pasticceria.
Un Riesling Vigna Cancòr, subito ribattezzata “cru Tamoil” per l’idrocarburo avvolgente. Ne ho tenuto una bottiglia, voglio vedere se gli amici sommelier sanno dirmi da dove viene: se qualcuno azzarda qualcosa più a sud del Palatinato giuro, vado ad acqua per un mese intero.

E il Vigna delle Forche, Mueller Thurgau con i profumi floreali ed erbacei che dialogano con la sapidità della pietra, perfetto.

Poi i muretti, muretti tortuosi che accarezzano le colline. Settecento otto chilometri di muretti in totale. Da quei muretti, ricordava l’amico Mario Pojer, ogni anno cadono due o tre persone che lavorano in vigna: la viticoltura eroica non è solo un nome, ha gambe, braccia e vite spezzate qui.

Il paesaggio scorre tra piccoli boschi, curve, chiesette, meleti e vigneti. Un po’ di sole, tempi lontani.

Poi il Brut Salisa di Villa Corniole e le loro Mueller Thurgau, altrettanto perfette ma diverse. Più austere, più erbacee, ricordo il profumo della salvia che si fa più netto. Più intenso se il vino origina da vigne esposte a est, mi dicono.

Curve, la strada, i paesaggi, le cave di porfido.
Montagna sconosciuta: ho portato i vini di Cembra a Milano, di duecento persone non so quanti la conoscessero, nessuno di quelli con cui ho parlato. Ma adesso la conoscono, e altri la conosceranno presto, parola dell’ambasciatrice dei cembrani.

Speriamo. Per loro. E per tutti noi.