L’interessante Rapporto 2018 sul Prosecco edito dal Consorzio di riferimento e l’ottava edizione del Dossier Spumanti allegato all’ultimo numero del Corriere Vinicolo, insieme producono un’analisi molto esaustiva della situazione e delle prospettive del comparto bollicine, sommamente interessanti anche per il Trentino delle basi spumanti.
Relegata a pagina 35 e in taglio basso sul dossier del Corriere, compare anche un’intervista a Enrico Zanoni, direttore generale di Cavit e presidente dell’Istituto Trento Doc.
Non mi aspettavo certo una visione concreta e propositiva tipo quella enunciata da Albino Armani sul futuro del Pinot grigio delle Venezie, ma nemmeno l’ovvietà secondo la quale  il metodo classico patisce questo momento, con la consolazione che lo Champagne sta peggio. E con il rammarico di non poter probabilmente crescere anche quest’anno di un milione di bottiglie come negli ultimi anni.
Basterebbe quest’enfasi per farsi delle domande.
Con la disponibilità di 300 mila quintali di eccellenti uve base spumante e solo 9 milioni di bottiglie di classico prodotte (cui vanno aggiunti pochi milioni di Charmat) a fronte di un potenziale di almeno 20 milioni di pezzi, vantarsi che oltre 50 Case spumantistiche tutte assieme crescono di un misero milione di bottiglie/anno non è solo banale, ma sbagliato come approccio. Da tutti i punti di vista. Da quello del viticoltore di alta collina che da anni non risparmia un euro che sia uno, non coprendo nemmeno i suoi costi reali, fino al disorientato consumatore finale, passando lungo tutti gli elementi della filiera.
Di buono, anzi di ottimo, c’è il livello qualitativo del prodotto (e ci mancherebbe!) sia che costi 5 o 25€, giocando qui il fascino della marca. Ma per il resto è una pagina bianca da riempire con una visione e obiettivi che solo il leader Ferrari sta interpretando a dovere. Non per nulla copre da solo oltre la metà delle vendite e a prezzi remunerativi. Passi anche  che gli oligopoli non hanno le bollicine nel core business, ma tutti gli altri perché si accontentano? Le variegate risposte possibili sono tutte da cassare non fosse altro perché parliamo di una (nobile) attività “industriale” (rielaborazione di un prodotto) anche nel caso di piccole realtà agricole. Il concetto industriale, infatti, “obbliga” a crescere e per crescere ci vogliono progetti.
Però prima dei milioni di bottiglie che sono di là da venire, la preoccupazione deve riguardare soprattutto il recupero del ritardo nei confronti dei produttori di uva base spumante. Non si possono aspettare altri 10 anni di timida crescita del classico per assicurare loro un reddito sicuro, ma urge intervenire subito con un progetto che miri a chiudere il circuito uva-vino-spumante-mercato, massimizzando la filiera.
Poiché non mi piace gettare il sasso in piccionaia e sparire, racconto un aneddoto.
Anni fa, presentai (gratuitamente, è ovvio) al direttore di Cavit un’ipotesi progettuale, che rispondeva al bisogno di cui sopra: con un budget di 5 milioni di euro co-finanziati da PAT, Cavit, Cesarini Sforza e Concilio si sarebbero potute produrre 20 milioni di bottiglie Metodo Cavazzani, lanciate sul mercato con marchio consortile (ho in serbo anche il nome adatto), da inserire nella fascia di prezzo dei 5-10€. Oltre a risolvere l’obiettivo primario del base spumante, si sarebbe creata una classe di prodotto ancor oggi inesistente e si sarebbe spinto il Trento DOC oltre i 10€ bottiglia; interpellato il direttore commerciale, Zanoni mi fece sapere che non ci sarebbe stato spazio per siffatto prodotto e la cosa finì lì.
Peccato che negli anni successivi il Prosecco sia cresciuto a mezzo miliardo di bottiglie, dimostrando che a fronte di un progetto le cose si possono fare, eccome.
Nel mentre i produttori di Glera ringraziano, i nostri si accontentano.