A quanto parte non basta nemmeno una seduta spiritica per far riemergere dalle nebbie dell’ignoto e dal mistero degli inferi la produzione enologica trentina. Non ci riesce nemmeno la carta vini di un ristorante luxury (ex stella Michelin) come La Casa degli Spiriti di Costermano, situato ad uno sputo dal confine gardesano fra Veneto e Trentino.
In questi giorni post covid, il ristogourmet ha riaperto parzialmente per mettere in vendita tutte le bottiglie della sua opulenta cantina: sconto 50% e formule in offertissima del tipo 5+1. E questa è stata l’occasione per dare un occhiata alla carta vini. Con un occhio alle referenze del Trentino e dei suoi competitori naturali: Friuli, Alto Adige e naturalmente Lombardia per quanto riguarda il metodo classico.
Devo ammettere che non ho trovato sorprese. Ma solo l’amara conferma di una mia convinzione: il vino trentino, dopo vent’anni di politiche consortili e istituzionali dolosamente sbagliate e colpevolmente suicidiarie, non esiste. È un morto che non si affaccia nemmeno al tavolo di una seduta spiritica. Un morto che non cammina. E che non parla. Più.
Ecco qui di seguito una sintesi grafica nuda e cruda della situazione. E poi buona seduta spiritica a tutti. Senza il Trentino.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.