Lo so, lo so che è poco elegante usare parole sgarbate; soprattutto in tempi depressi come quelli che stiamo vivendo. Però a volte le cattive maniere te le cavano dalle mani e dalle dita. E dalla bocca.

Questa mattina una delle talpe che ogni tanto mi viene in soccorso e che traffica con abilità in queste cose, mi ha segnalato con delusa amarezza gli short film prodotti in tempo di covid dalla Strada del Vino e dei Sapori del Trentino; e inutilmente caricati su YouTube: l’abissale vacuità di questi upload è testimoniata dal numero (?) delle visualizzazioni impietosamente registrate dalla piattaforma. Un’operazione di marketing conformista animata, mi auguro, almeno dalla buona intenzione di dare una mano al territorio in questo tempo sciagurato.

Si tratta di una decina di brevi video della durata di poco più di due minuti, di cui quasi la metà occupati da melensi titoli di testa e di coda sempre uguali; spottini usa e getta che esprimono lo stesso appeal di una soap opera destinata ad appisolati pomeriggi trascorsi in casa di riposo. Che  delusione, appunto, come piangeva stamattina il mio informatore.

Sono dell’idea che il territorio sia una materia delicata; da trattare con cura. E che anche per esso, soprattutto per esso, valga l’antica e aurea regola di vita così riassumibile: piuttosto di fare cazzate, è vivamente consigliato star fermi. E in silenzio. Perché, come tutte le cose fragili ci vuol poco a combinare guai. E raccontare il Trentino in questa maniera equivale ad un invito esplicito, e molto convincente, a non metterci piede per i decenni a venire.

Capisco che Strada del Vino del Trentino, la quale su delega consortile, purtroppo, si esercita in remunerati compiti promozionali, ogni tanto debba battere un colpo: se non altro per dimostrare al mondo creato, fra Salorno e Borghetto, la sua incomprensibile permanenza in vita. Ma se i colpi sono questi, figli di una mappa mentale che pare senza bussola, lo stare fermi ed immobili diventa addirittura un imperativo categorico.  Del resto a sentenziarlo non è Cosimo lo Sgarbato, ma i frequentatori della rete, che in questi giorni non si sono nemmeno accorti degli inutili spottini messi on line dalla trista compagnia guidata dall’ilare ristoratore trentino.

E ora sono sicuro che qualcuno, come ai bei tempi  eroici di Trentino Wine, sarà pronto a rinfacciarmi le parole sgarbate e le cattive maniere per concludere: “Facile criticare, chi non fa non sbaglia“. E allora rispondo così: piuttosto di fare cose a vanvera (a proposito come stanno andando  presso gli investitori/consumatori i fantasiosissimi  bond gourmet della Strada?) talvolta, e questa è una di quelle volte, è meglio non fare. L’inazione in questo caso avrebbe il senso di una intelligente consapevolezza del limite.  E poi un’idea estemporanea che mi è venuta mentre stavo scrivendo: perché non riprendere in mano quel vecchio filmato, ma attualissimo perché sfiora i canoni di una poetica eleganza senza età, firmato alla fine degli anni Cinquanta da Giuseppe Sebesta, con la consulenza di Franco Endrici, e prodotto dal Comitato Vitivinicolo: La Strada del Vino. Perché non si prova a rivisitare quel documento, adattandolo alle piattaforme video e social  del tempo digitale; naturalmente sfrondandolo dai tratti che oggi appaiono irrimediabilmente datati e che pure ci sono. Scommettiamo che sarebbe un successo?  E che darebbe una pista agli inutili filmetti oratoriali che ci vengono propinati dalle istituzioni vinicole e che fanno venire il latte alle ginocchia dopo i primi tre secondi di visione? Scommettiamo?