Se ho capito bene, qualora venisse approvata la modifica dell’art.12 della legge provinciale sulla Ricerca del 2005 proposta dall’assessore all’Agricoltura del Trentina Zanotelli, a fine anno se ne andrà a casa tutto il CdA di FEM.

Le modifiche riguardano principalmente 5 punti:

1 -Si inserisce come “necessaria” la competenza scientifica/manageriale anche per il membri del CdA (oggi prevista solo per il Comitato scientifico)
2 – Il CdA sarà composto da un massimo di 7 membri (oggi 12) di cui 1 in rappresentanza delle minoranze del Cons. Prov.le (confermato) e 3 in rappresentanza delle Organizzazioni professionali agricole, oltre al Presidente nominato dalla PAT che nomina anche il Collegio dei Revisori dei Conti.
3 – I programmi di FEM da poliennali diventano al massimo triennali.
4 – Si specifica che la “coerenza” delle attività di FEM con la programmazione provinciale sia perfezionata attraverso misure di raccordo con le strutture provinciali competenti in materia di ricerca, agricoltura e formazione.
5 – La PAT è autorizzata a promuovere la modifica statutaria di FEM entro il 30 settembre pv e la sostituzione degli organi nei successivi tre mesi.

Orbene, il bicchiere può vedersi mezzo pieno o mezzo vuoto. Dipende dallo spirito e dalla consistenza che si vuole annettere alla modifica proposta.

È mezzo pieno quando si eliminano gli scaldaseggiole in CdA, quelli che approvano senza fiatare le “indicazioni” del Comitato esecutivo che oggi esamina in anticipo quando andrà in delibera formale del CdA. Questo Comitato esecutivo (non preventivo) diventerà CdA. Una stortura che andava rimossa. Resterà da valutare la competenza scientifica o manageriale dei membri del CdA che rischia di far vedere il bicchiere mezzo vuoto.

Presidente e rappresentante delle minoranze in Consiglio provinciale a parte, i tre membri designati dalle Organizzazioni professionali agricole saranno in rappresentanza della Cooperazione e del Sindacato agricolo. Magari si troveranno super esperti con competenze scientifico/manageriali graditi sia alle cooperative che ai sindacati e che si cambiano d’abito a seconda della bisogna, ma è più facile ipotizzare che ci saranno problemi. In cooperazione ad esempio avranno prevalenza i secondi gradi (Melinda, Cavit, ecc.) o le cooperative di primo grado più vicine al territorio e quindi ai produttori, i veri destinatari dei servizi di FEM?

Sulla triennalità dei programmi si può discutere: la ricerca e la sperimentazione in agricoltura comportano spesso tempi lunghi che vanno oltre i mandati consiliari. Avranno visione sufficiente per superare gli attesi “ritorni” autocelebrativi?

Anche il quarto punto potrebbe rivelarsi preoccupante, nella sua apparente esigenza di chiarezza: con tanti saluti alla deregulation, ogni progetto di FEM dovrà avere il placet delle strutture provinciali con dilatazione dei tempi e il rischio che queste si facciano portatrici di interessi diversi (a pensar male si fa peccato?).

Infine il diktat: tutti a casa per Natale, largo ai nuovi amministratori, liberi di avere una visione, di dare l’indirizzo per il futuro del glorioso Istituto di San Michele, di presentare programmi a breve, di farseli approvare da un funzionario PAT. Se poi si sarà meno incisivi del resto del mondo o, magari anche solo dei vicini a nord o a sud del Trentino, pazienza. L’ufficiale pagatore è la PAT e … vuolsi così colà dove si pote ciò che si vuole.

Nota non indifferente: sull’altare di questa presunta semplificazione, accanto a qualche sindacalista minore, spariranno dal CdA due figure significative: quella del rappresentante dei lavoratori dipendenti da FEM che saranno indirettamente tutelati da uno yes man (capo del personale) e quella del rappresentante degli allievi ed ex allievi della Scuola. Il primo, pescando nei ricordi, è sempre stato una spina nel fianco del CdA per gli innumerevoli interventi critico-costruttivi volti però a costituire l’Istituzione come una famiglia di professionisti nei vari ambiti al servizio del territorio e non solo. Il secondo, designato dall’Unione dei Diplomati dall’Istituto di San Michele, che portava il pensiero dei tecnici che operano sul territorio (anche in giro per il mondo), figure professionali a contatto con la realtà quotidiana, liberi e svincolati da interessi di parte se non quello del più moderno sviluppo della nostra agricoltura. Un anello di congiunzione, insomma, tra formazione, ricerca e trasferimento tecnologico ai produttori.

Peccati, peccati gravi questi, che fanno propendere per la visione del bicchiere mezzo vuoto. Speriamo che il Consiglio provinciale provveda a riempirlo nelle prossime settimane, altrimenti l’ex allievo di San Michele Fugatti lascerà solo il cattivo odore della flatulenza.