Il verde smagliante dei filari e l’uva glera dai grappoli generosi ti accolgono raggianti e desiderosi di dimostrare quanto sia fondata la decisione dell’Unesco di dichiarare Patrimonio dell’Umanità queste dolci inclinazioni del suolo con le loro scure cornici boschive interrotte da una architettura rurale essenziale, sbriciolata in mille porzioni.

Suonerà paradossale ma le colline del prosecco, il terroir più commerciale e commercializzato d’Italia è davvero un luogo in cui gli occhi, la mente ed il cuore trovano comune appagamento.

La visita all’azienda Canevel, tra le rare ad avere a Valdobbiadene un progetto a trecentosessanta gradi, con filiera completa dalla vite al vino, è stata l’occasione per tentare di capire questo spazio vitivinicolo osannato dal punto di vista paesaggistico, tanto quanto vituperato per la qualità dei suoi vini e la monetizzazione di ogni singolo grappolo.

Grazie al racconto in prima persona di Carlo Caramel, si è palesato un sistema di conferimento fatto di piccoli produttori che lavorano la vigna e di grandi blocchi produttivi che acquistano l’uva (1euro/Kg ca), oppure direttamente il vino, (meno di 2,00 euro/l) il più semplice, adatto a prese di spuma indolori e brevissime. A questa massa fa certamente comodo che, soprattutto nel Canale Horeca, talvolta il termine/concetto “Prosecco” sia usato funzionalmente come riferimento onnicomprensivo per qualsiasi vino spumante.

Seriamente contestata da produttori seri, l’allargamento della DOC ha sfilacciato in mille rivoli difformi, ma economicamente redditizi, obiettivi e progetti, concedendo solo a chi ha saputo svettare al di sopra della superficie inerme, spazi di qualità tanto sorprendenti quanto insospettabili. Canevel produce i suoi vini di fascia alta con permanenze in autoclave di 60/90 giorni, dichiarando una resa per ettaro in uva tra i 100 e i 120 quintali a seconda dell’annata. Come questa, altre aziende, soprattutto quelle a filiera completa all’interno della DOCG, cercano di tenere a distanza la retorica della bollicina facile, indicando sulle proprie etichette il puro riferimento territoriale “Valdobbiadene” senza fare menzione della parola prosecco.

Il prosecco buono, spumantizzato a dovere, interessante, addirittura intrigante, esiste dunque davvero, fatto di competenze, di tradizioni e naturalmente perché no, di diffusi, efficaci, mercati. La sua qualità nasce spesso, ma non solo, nella famosissima collina di Cartizze, splendida e lussuriosa, generosa di forme e di sostanza. Appare come un quadro naif dentro il quale immergere lo sguardo e rimanerne affascinati. Non dubito che il calcolo meramente economico incomba come un velo deformante sull’immagine idilliaca di questo terroir, ma squarciando il velo del risalto economico e seguendo con lo sguardo il profilo delle colline incorniciate dai boschi di faggi, osservando i filari generosi rincorrersi in geometrie artistiche, si ha davvero la netta sensazione di essere difronte ad una grande bellezza, una bellezza da preservare, fantasticando magari che essa possa avere una ricaduta sempre più efficace sulla qualità del vino che vi si produce.