Un bel tacer non fu mai scritto, si dice. Ma a forza di leggere e tacere si rischia di far passare per vangelo ogni banalità o castroneria, e allora non ci sto.
E’ il caso dell’intervista di T. Di Giannantonio di ieri sul Corriere del Trentino a tale Michele Gambera che dopo cotanto studio è approdato a Chicago dove si occupa d’investimenti per un importante fondo svizzero. Dopo aver dato ricette già note per vari ambiti, l’ultima domanda è per la nostra agricoltura, sul come le nostre imprese possono continuare a crescere in periodo di crisi.
Detto che questa si distingue per qualità, sostiene che serve anche quantità e che il “pinot grigio è ormai un prodotto a basso margine perché lo producono tutti, alcuni bene e alcuni male. Il teroldego sta diventando invece un prodotto conosciuto anche negli Stati Uniti. Dobbiamo cercare altri prodotti simili che si possano promuovere internazionalmente come prodotti di qualità, il che si può fare solo se la produzione è abbastanza ampia, per cui per esempio sarebbe difficile proporre il groppello che ha un’area limitata. Da questo punto di vista l’Alto Adige probabilmente è leggermente più avanti.” 
Orbene, per il PG a basso margine, il nostro recita un de profundis (lasciando intendere che ce n’è troppo e che la moneta cattiva scaccia la nostra buona), ma non dà indicazioni strategiche per uscirne, né considera la gravità dato che – forse non lo sa – condiziona l’intero comparto; sul Teroldego sì, sta affermandosi negli USA e la ricetta è di cercarne altri simili purché siano in abbondanza, non come il Groppello…ma va? Due perle da intenditore sono poi gli avverbi “probabilmente” e “leggermente più avanti” riferiti all’Alto Adige. Il quale ha aziende frazionate come in Trentino, ma che da noi andrebbero accorpate per ridurre i costi. Cooperazione? Non pervenuta. Produzione già concentrata in tre oligopoli? Non percepita.
E’ probabile che chi sta in America non può che pensarla così, ma noi che stiamo ancorati a un territorio già troppo piegato alla sete di quel mercato non possiamo berle tutte. Che aduli anche quelli del Teroldego auspicando un calderone di altre varietà – senza rendersi conto che l’Alto Adige è più avanti anche perché sulle sue tipologie ha messo il cappello coprente del Südtirol – è inaccettabile per uno che si picca di dare consigli e anche preoccupante per chi li raccoglie senza batter ciglio. Abbiamo pianto pochi giorni fa Sergio Ferrari e auspicato un giornalismo puntuale come il suo. Auspicio da rinnovare.
Intanto per chi ama il vigneto trentino, a cominciare dai produttori, è tempo di approcciarsi con spirito critico e propositivo: critico per non continuare trangugiare una minestra che comincia a irrancidirsi e propositivo almeno copiando da chi scarpina sul territorio, credendo più all’origine (unica e irripetibile) invece che alla sola varietà (appannaggio di tutti, in tutto il mondo). Come dire: se investi 1 euro sull’origine te lo ritroverai sempre, se investi 1 euro sulla varietà sei nelle mai di quelli di Chicago.