Aspettare la fine d’anno per una valutazione dell’annata vitivinicola in Trentino non sarebbe stato necessario, son cose che si sanno da mesi e i fondamentali sono chiari già da anni. Una strada segnata, senza infamia e senza lode.

Allo stesso modo, mettersi ora a programmare attività future (ammesso che qualcuno qui declini ancora quel verbo) può apparire pleonastico o perlomeno in ritardo sui tempi canonici previsti dalle moderne regole gestionali. I piani si abbozzano nel secondo semestre, si definiscono entro l’anno e si attuano a partire da gennaio. Almeno così si faceva quando gli obiettivi erano per una crescita generalizzata degli attori del settore. Non come oggi dove il mantenimento di uno status quo pare essere il risultato atteso dai più. Chi s’accontenta gode… ma quando?

Vero è che non si può e non si deve generalizzare: qualcuno controcorrente c’è e quel qualcuno s’interroga sui perché e si dà anche delle risposte. A sentire diverse campane sono valutazioni convergenti, le analisi collimano, gli obiettivi ci sarebbero, ma nessuno parla. Chi c’ha provato – direttamente o indirettamente – è stato individuato e ha pagato, o è stato minacciato velatamente, o ha capito che se avesse alzato il dito… Insomma, se non fossimo in Trentino si direbbero tutte storie che appartengono ad altre latitudini. Da noi no, fortificati come siamo dal millenario senso autonomistico, dall’altra secolare esperienza cooperativa, dall’essere montanari-scarpe-grosse-cervello-fino. Col manto curiale che tutto protegge. Anche chi mugugna.

Il discrimine allora è fra il lasciar perdere e tentare l’impossibile, scalare la montagna che ti respinge, cercare un orizzonte più vasto per guardare oltre.

Negli ultimi cinque lustri alcuni facinorosi (come definirli altrimenti?) c’hanno tentato, all’apparenza anche con validi argomenti. Invano.

Di anno in anno la piovra ha stretto le sue spire e il modello politico-social-industriale tiene tutto ben fisso, concedendo ossigeno sufficiente alla sopravvivenza. Non sia mai che il contadino mi si afflosci fra le mani, no, questo no. Ma nemmeno che s’ingrassi troppo. Una giusta razione di mantenimento insomma, come si fa per l’allevamento degli animali.

Sembrano considerazioni eccessive? Giudizi troppo tranchant? Ma va! Diamo un occhio a come vivono e si realizzano i nostri corrispettivi a Bolzano o a Verona e avremo le risposte che cerchiamo.

La maggior parte dei nostri vitivinicoltori appaiono mantenuti a libro paga da un sistema ben oliato che negli anni ha superato le turbolenze dei mercati, gli sconquassi monetari, le concorrenze più pericolose e finanche la pandemia per cui si potrebbero dormire sonni tranquilli. Accontentandosi, ovviamente.

Gli scontenti, invece, osservano che le stesse avversità sono state superate anche a nord e a sud del Trentino, ma hanno migliori prospettive di crescita.

La crescita: parola che in Trentino si declina addomesticata. Crescono ad es. i bilanci dei due-tre oligopoli crescono il numero degli spumantisti a oltre cento e quindi le bottiglie a oltre dieci milioni… non male se potessimo applicare l’equazione di Trilussa, peccato che uno solo faccia i due terzi del tutto.

I dati reali dicono che i valori fondiari non corrispondono ai costi di produzione, le liquidazioni e i prezzi in generale li coprono a malapena, le piccole aziende (ossia quasi tutte) sono in sofferenza, i mercati reggono (al ribasso) per le concentrazioni dell’offerta, ma languono per le denominazioni e tipologie di qualità. Il consumatore nota prezzi bassi dei nostri vini nella GDO e presenze sempre più sporadiche delle referenze nel canale ho.re.ca. La maggior parte delle carte dei vini nei ristoranti accomuna in lista il Trentino con l’Alto Adige, con solo un paio di trentini a tener su il vessillo…

Per cui occorre fare qualcosa.

Se lo scenario è più o meno questo e volendo tentare l’impossibile come si diceva sopra, la strategia potrebbe essere quella di invitare – anche solo virtualmente – dei personaggi che, condividendo analisi e obiettivi, possano dare il loro contributo culturale a un’idea per un diverso e integrato futuro possibile della vitivinicoltura trentina. Mettendo dell’altro in cima alla scala di valori e lasciando che i soldi, da obiettivo primario tornino ad essere solo risultato atteso.

Ci vogliono alcuni produttori, ovviamente, ma anche un economista, un umanista, un ricercatore, un antropologo, un sociologo…gente così, disinteressata, possibilista, entusiasta. Solo allora si potrebbe coinvolgere anche un prete – qualcuno di valido ce n’è ancora – perché per le sfide all’impossibile è bene …attrezzarsi.