alperegis Confesso che non l’ho ancora assaggiato, mi capiterà di berlo prima o poi. Non c’è fretta, un prodotto così non può che essere all’altezza del nome che porta. Ma basta la sola la presentazione dell’ultimo parto di Mezzacorona per abbozzare alcune considerazioni.
Innanzi tutto i 48 mesi di elaborazione sono più del doppio di quelli che erano stati necessari per la nascita del primogenito Rotari. Un evento, quello, annunciato con grande enfasi, atteso e temuto, come si conviene a un rampollo di casa reale, o meglio, che aspirava di diventare erede al trono. Il trono però, allora come oggi, era ed è saldamente in mano d’altri. La culla era stata pensata piuttosto ampia perché il neonato prometteva di crescere in fretta tant’è che, si diceva, in poche stagioni avrebbe raggiunto i fatidici 5 milioni di pezzi detronizzando chi alla crescita quantitativa preferiva consolidare l’utile aziendale. La strategia, a modo suo, era coerente con l’obiettivo: non già uno spumante esclusivo, per celebrazioni, ricorrenze e avvenimenti mondani, quanto piuttosto uno spumante per tutti e per tutte le occasioni. Come viatico, i primi passi erano stati generosamente accompagnati da forniture di 6 eleganti calici con tanto di brocca per essere scaraffato in ogni momento.
Una proposta di rottura per l’impaludato modello trentino.
Sappiamo com’è andata. Il Prosecco, da cui si era copiata l’idea, crebbe e cresce in modo esponenziale by-passando la caraffa, quasi facesse perdere tempo al consumatore, mentre il nostro finì sempre più spesso nel cesto in testata di gondola, a prezzo speciale. In compenso i produttori, divenuti azionisti, se lo ricomprarono loro alimentando una spirale economico finanziaria che non si sa bene dove li porterà.
Ma intanto funziona e i riflettori sono puntati altrove per cui ogni possibile domanda abortisce prima ancora di essere concepita.
Chi se ne frega se i 5 milioni non sono mai stati raggiunti, importante è che si siano incassati i contributi; cosa comporta invertire la rotta strategica, importante è fare qualcosa di diverso, poi si vedrà; se il Talento non ha funzionato, proviamo col Trentodoc, qualcosa succederà.
I numeri della produzione restano vaghi, per tutti. Ciò che conta è il liquidato al quintale d’uva, il resto è sterile polemica. Disfattista per giunta!
Quando si è condannati a crescere, lo scenario è questo. Sul come, anno dopo anno, si accumula la quota da liquidare ai soci è problema dell’AD, faccia come meglio crede. Marchionne docet.
Per forza che l’Istituto del Trentodoc è ingessato. Peggio: è paralizzato dai suoi stessi aderenti, timorosi di perdere i cospicui finanziamenti pubblici, di dover mettere mano al portafogli, di doversi misurare su dati reali, di dover progettare qualcosa di nuovo per il territorio.
Franciacorta e Prosecco l’hanno fatto, qui nulla è prioritario all’infuori del mantenimento dello status quo. Al massimo qual cosina di aziendale.
Così una delle più grandi cantine d’Italia e d’Europa esce con qualche decina di migliaia di bottiglie, tanto per saggiare il terreno, pronta per produrre 2,5 milioni di pezzi se solo il mercato si mostrerà disponibile.
Come se il mercato fosse lì, assetato, ad aspettare noi, fra un volo e l’altro d’aquila reale sull’alpe regis.
Se non nudo, questo re mi sembra almeno in mutande. Ma non sarà certamente l’ottimo suo sorso a farmelo vedere più elegantemente vestito.
 

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