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di Massarello – Caro Cosimo, con le tue considerazioni (qui) mi stai tirando su un terreno infido e pregno di possibili equivoci. Per evitarli ci vorrà più di qualche post, ma intanto vorrei puntualizzare alcune convinzioni, tanto per alimentare un dibattito che credo farebbe bene al comparto. Sgombro subito il campo dall’importanza fondamentale della cooperazione: lì non ci piove proprio, ma sono contro la piega oligopolistica presa dalle due cantinone che, pur con sfumature diverse, hanno spostato il focus dal territorio al business, giustificandosi con la centralità del socio. Mettendolo a libro paga, lui e la sua cantina di primo grado o trasformandolo in azionista di una società di cui è già proprietario.

Mi fermo qui per arrivare al Metodo classico: anche in questo caso, non è in discussione la qualità del prodotto che nell’economia moderna si deve ormai dare per scontata. Chi non ci arriva è fuori. Quello che sostengo non è mia invenzione, ma semplice constatazione. Infatti, la prevalenza delle uve di Champagne è in mano al sistema cooperativo, mentre la stragrande quantità di bottiglie è venduta dalle prestigiose maison private. Oltralpe ognuno fa bene il suo mestiere e normalmente tutti sono soddisfatti, sotto la guida del C.I.V.C. (Comitato interprofessionale). Ovvero: tutti hanno diritto di fare tutto, ma è difficile trovare il tempo e il modo di eccellere contemporaneamente tra i filari e le file dei tavoli di un ristorante. Come è difficile sdoppiarsi nella coltivazione di Chardonnay per vino tranquillo o base spumante, fino alla difficoltà di relazionarsi ai massimi livelli di efficienza con un buyer della GDO o con … la tenutaria di un bordello d’alto bordo dove lo Champagne non scorre solo al compleanno.

Questo per dire che il vino tranquillo è un liquido alimentare che “talvolta” ti emoziona, mentre lo spumante M.C. ti deve emozionare “sempre”, altrimenti scivoli inevitabilmente sul prezzo basso. Uso il termine “emozionare” per farmi capire, ma a monte ci sta la massima specializzazione possibile 24h su 24. Non per nulla, quella che io chiamo la Real Casa, produce i due terzi del cosiddetto Trentodoc e quaranta altri spumantisti si dividono lo scarno terzo rimanente. A parte qualcuno, mi pare un disastro imprenditoriale e territoriale, cos’altro dire… pensando ai 350 mila ettolitri di Chardonnay che in questo momento stanno illimpidendosi nelle cantine, ma che fra 24 mesi non troveranno che poche bottiglie da far palpitare il cuore? Per farla breve e rischiando la noia, mi permetto di insistere sulla necessità di una specializzazione “mentale” e non già su quella tecnica (ampiamente dimostrata dalla qualità raggiunta, anche se si può migliorare ancora), specializzando cioè, tutta la filiera con un Piano apposito che poggi su un moderno impianto legislativo, su uomini e donne dedicate, su vigneti dedicati, su Case (e non cantine) dedicate, per un mercato – e quindi su consumatori – anch’essi dedicati. Disposti, cioè, a spendere per un’emozione, prima ancora che per un’indiscutibile qualità merceologica.