Una poltrona in più per i vignaioli? La decisione è stata adottata lunedì dal CdA di Consorzio Vini del Trentino. E sarà sottoposta al vaglio dei soci   durante l’assemblea del 24 febbraio.
Un segnale distensivo, che arriva dopo la rottura di due anni fa, che ha portato alla costituzione del consorzio autonomo dei vignaioli trentini di area Fivi. La mossa di questi giorni, che pure  sembra andare nel senso giusto, quello di assicurare maggiore rappresentanza al manipolo dei produttori artigianali di Cesconi, tuttavia, appare tardiva. E anche insufficiente. Tardiva, perché mi pare che oramai i vignaioli abbiamo imboccata un’altra strada. E’ vero che non ci sono strade senza ritorno, almeno in politica; ma è difficile pensare ad un cambio di traiettoria così repentino e soprattutto in cambio di un pugno di briciole: se questa cosa dovesse andare in porto, Cesconi e i suoi, infatti, potrebbero contare su un paio di rappresentanti in un CdA ancora ampiamente dominato dagli oligopolisti industriali. Ed è per questo che oltre ad essere tardiva, questa proposta appare insufficiente ed inutile: perché pure andando nel verso giusto, resta ancora lontanissima dallo schema di un Consorzio  interprofessionale che assicuri una rappresentanza paritaria a tutte le componenti della filiera. E a questo punto, e vorrei sbagliarmi, quest’apertura assomiglia ad un salvagente che Consorzio Vini lancia a se stesso. Per provare a stare a galla dignitosamente, salvando capra (il potere reale degli industriali) e cavoli (la facciata della rappresentatività allargata).