fabri-fibra_dettaglio_news_tDunque, prima di tutto chiedo scusa: oggi qualcuno si è lamentato per una certa approssimazione contenuta nel post pubblicato ieri. ln un paio di passaggi, infatti, avevo usato la parola “industriali”. Non mi riferivo né agli imprenditori agricoli iscritti ad Assindustria né ai Vitivinicoli. l primi, infatti, non erano nemmeno contemplati come interlocutori del famoso protocollo ecumenico mellariniano firmato venerdì. l secondi, invece, lo erano, il documento infatti prevedeva la firma del loro rappresentante di categoria; firma che, tuttavia, almeno nella copia in possesso di Trentino Wine Blog (datata 18/05/2012), per qualche ragione che non conosco, non compare. Quando, nel post di ieri, ho parlato di “industriali”, mi riferivo invece alle aziende che hanno scelto un modello di produzione e di commercializzazione di stampo industrialistico. E fin qui le scuse e i doverosi errata corrige.

Poi, mi permetto di tornare su alcuni passaggi del documento (quasi)unitario che dovrebbe rifondare la viticoltura trentina. E lo faccio, perché sarebbe bello, e utile, averne un’interpretazione autentica. E rassicurante. La raffinata prosa di cui si compone, infatti, dissimula alcune questioni che, messe cosi come sono state messe (scritte), hanno bisogno di essere chiarite.

Entro a gamba tesa nel merito di queste questioni. Ad un certo punto, il protocollo mellariniano, indicando gli obiettivi per il futuro, recita esattamente cosi: “Una esaltazione del valore identitario della viticoltura trentina attraverso la promozione delle produzione autoctone e la valorizzazione di tutto il vigneto T(?)rentino come <<alpino e di montagna>>”. Cosa significa questa  equivoca enunciazione alpina di alpinistici principi? Che d’ora in poi tutto il vino trentino, anche quello prodotto sui fondali limacciosi del fondovalle, dovrà essere comunicato artificiosamente sui mercati extra domestici come vino di montagna o significa, invece, che da domani cominceremo a coltivare la vigna solo ad altitudini vocate, lasciando perdere le coltivazioni, ora prevalenti, di fondovalle? Fra l’una e l’altra cosa, c’è una certa differenza. La stessa che passa fra la realtà e la manipolazione.

E ancora, sempre dentro il medesimo orizzonte esaltato (mi verrebbe di usare un altro aggettivo, ma a scanso di querela mi contengo) degli obiettivi: “L’avvio definitivo di un percorso operativo per l’esaltazione del valore della sostenibilità della viticoltura trentina (attraverso la creazione di un marchio di qualità e sostenibilità ambientale)”. Anche qui: l’obiettivo quale è? La sostenibilità ambientale della produzione (per esempio la riduzione di quei 20/30 Kg di roba chimica ad ettaro che si usano ogni anno nelle campagne trentine) o la reiterazione dell’ideologia promozionistica che riduce la realtà all’ennesimo marchio di (s)qualità che nessuno si fila?

Ad un certo punto, affrontando il tema delicatissimo delle forme di rappresentanza a cui da un decennio aspira il mondo del vino, il documento auspica che Consorzio Vini garantisca “nelle forme più consone, la rappresentatività delle diverse componenti del vino trentino, così come previste nello Statuto, nel rispetto della normativa in vigore, prendendo fin da subito in esame (con il supporto della Provincia) strumenti per costruire un adeguato equilibrio tra i diversi segmenti produttivi trentini per quanto concerne le attività di marketing”. Adeguato equilibrio, capito? L’equilibrio è equilibrio. Non ha bisogno di aggettivi. A meno che questi non servano per attenuare, smorzare, smontare il concetto e la sostanza; a meno che non servano per introdurre il germe di un capovolgimento semantico, con l’obiettivo di garantire e consolidare gli attuali rapporti di forza. Anche qui servirebbe un’interpretazione autentica. E tranquillizzante.

Fra “gli elementi portanti” della proposta: “Evidenziare nella progettazione della promozione le diverse componenti della enologia trentina (con progetti specifici i vignaioli trentini)”. Cosa si intende con questa fantasiosa dichiarazione di principio? Che andremo in giro per il mondo a raccontare che il Trentino è Uno e Trino e perfino Poligamo; e anche tollerante nei confronti della riserva speciale dei Panda-Vignaioli? Di messaggi chiari, semplici e precisi, non se ne parla nemmeno, eh?

E infine, il tasto dolente (issimo) di Trentodoc. A questo proposito ci si impegna “a garantire una specifica progettualità e relativo budget, a favore del Consorzio di tutela in collaborazione con l’istituto Trentodoc, per le attività dell’istituto stesso, considerati la sua specificità e il suo ruolo chiave come locomotiva dell’immagine dell’enologia trentina, denominazione di origine tutelata dal Consorzio”. A questo punto urge un avvocato. Meglio: un azzeccagarbugli cassazionista. E, già che ci siamo, facciamo un fischio anche alla mia vecchia maestra delle elementari, la vecchia, materna e indimenticabile Maestra Mariuccia, per dare un’occhiata, e una sistemata, alla consecutio.

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E a proposito della Locomotiva Trentodoc, spariamoci questa: