agricoltura_-_le_fattorie_azzolino._a_camporeale_di_palermo._per_il_70_sono_proprieta_della_cantin_imagelarge Leggo stamattina un lancio Ansa (7 dicembre, ore 20,45) e non credo ai miei occhi. Questo l’attacco alla prima riga: “Sono serviti due anni ma, oggi, la Cantina di Nomi rivede la luce“. Poi il virgolettato del presidente: “I sacrifici sono stati pesanti, ma necessari per rimettere in carreggiata la nostra struttura e garantire un domani più sereno orientato a una collaborazione sempre maggiore con Vivallis“. Vabbè, se lo dice il presidente. Ora, affermare che la Sociale della Destra Adige stia tornando a rivedere la luce, sembra davvero un esercizio acrobatico degno di miglior causa. Non sto qui a raccontare la storia edficante (?) di questa piccola  coop trentina (20 mila quintali di uve incantinate ogni anno) che negli anni Duemila si avventurò in avventurose operazioni commerciali e produttive in giro per il mondo (Sicilia, Stati Uniti): basta un clic e mister google vi racconterà tutto per filo e per segno. Magari i soci, questo sì, possono tirare un sospiro di sollievo: grazie al conferimento delle uve a Vivallis, quest’anno hanno raggiunto remunerazioni medie accettabili (+58%). Ma questo è altro paio di maniche. D’accordo che la differenza fra ottimisti e pessimisti è sempre quella del bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno. Ma in questo caso, vederlo mezzo pieno, il bicchiere, è davvero un esercizio impossibile. Qui il lancio Ansa di ieri sera.

Nella foto: Fattorie Azzolino (Sicilia), negli anni Duemila controllata dalla coop trentina