sindacati agricoli

di Giovanni Galluccio (Uila-Uil del Trentino) – Apprezziamo lo sforzo dialettico di Diego Schelfi, che lancia, oggi, accorati appelli ad andare oltre l’attuale assetto di Agrinsieme, alleanza del mondo agricolo, che appare, già oggi, più articolata di come rappresentata nelle semplificazioni aggregative evidenziate, e che, sicuramente, dovrebbe includere, per valorizzare la specificità trentina, e non solo, un gigante associativo, come la Coldiretti, proprio a partire da quella del Trentino, e per recuperare un ruolo di attore sociale unitario, nelle dinamiche di relazione alle riforme della Politica Agricola Comune, ormai in cantiere, ovunque, nel continente.

Ci chiediamo se questo appello sia sufficiente, nelle intenzioni che richiama, o se non varrebbe la pena di fare uno sforzo ulteriore, che la Cooperazione potrebbe intestarsi, con il suo sicuro ruolo trainante sulla propria base associativa, che lavora il 90% della produzione lorda vendibile conferita, che caratterizza il mercato della produzione primaria in Trentino.

Ci chiediamo per quale ragione Diego Schelfi continui, però, ad esaurire il discorso nell’appello all’unità dei Sindacati agricoli dei datori di lavoro, e continui, nell’errore semantico, che assume valore politico e organizzativo, non indifferente, perché replica l’errore, ormai cronico, dell’Assessore all’Agricoltura, Tiziano Mellarini, che si ostina ad ignorare un normale sistema di relazioni con il sistema dei Sindacati dei salariati agricoli, che, sul piano nazionale, come FAI-CISL, FLAI-CGIL e UILA-UIL, hanno visto, invece, premiato uno sforzo di unità costante, riuscendo, all’indomani della riforma delle regole della contrattazione, a rinnovare tutti i contratti nazionali, con un costante ed incessante confronto con le parti datoriali del complesso sistema della produzione agro alimentare italiana, dall’industria della trasformazione, alla cooperazione, alla produzione primaria. Prima di pensare a possibili ruoli esemplari per il resto dello stivale, la cooperazione mediti su un sistema ultra conservativo di potere interno, che ingessa il ricambio generazionale, e rende poco plausibile, rischiando di comprometterlo irreversibilmente, il passaggio generazionale, per i contadini “attivi” del domani. Sull’enfatizzazione del ruolo del contadino attivo, molto attuale nelle istanze di riforma della PAC, purtroppo in Italia non siamo secondi a nessuno, con una retorica che assume troppo spesso un ruolo di credenza, più che di pratica condivisa. Un sistema drammaticamente viziato da ideologie che mostrano drammaticamente, nell’oggi, di essere poco coinvolgenti, poco trainanti, e, purtroppo, inefficaci. La partecipazione è il valore fondante della Cooperazione trentina, che sa perfettamente di essere sotto pressione rispetto al meccanismo collaudato e purtroppo poco efficace della delega ai consorzi di secondo e terzo livello. Se partecipazione di vuole praticare si ricominci umilmente, riavvolgendo il nastro, che declina la PAC, in ogni singolo territorio, attraverso il Piano Strategico Nazionale, nei Piani di Sviluppo Rurale, così come recepibili nell’idiosincratico meccanismo dei variegati livelli, pleonastici e spesso tautologici, della burocrazia del sistema di Governo territoriale dell’Autonomia.