vino grillo

Il comico politico genovese se la sta prendendo anche con la stampa: superficiali e non professionali, condizionati e venduti ai poteri forti. Ovvio che è sbagliato fare di tutte l’erbe un fascio, ma il tarlo lo insinua e la soglia d’attenzione aumenta. Ognuno di noi crede di essere competente in qualcosa, con buona pace dei tuttologi, cosicché riesce più facile “far la tara” a certe notizie su un tema che ci è noto. E’ il caso del resoconto di ieri (qui) letto su un quotidiano locale zeppo di dati dei bilanci delle cooperative agricole trentine. Gelata sul liquidato: – 9%. Ricavi a 983 milioni: – 2%. Vino controcorrente: + 8%. Tutto bene per quelli del vino che tornano a primeggiare su quelli dei pomi. Sarà per questo che la Provincia si appresta a sganciare 30 milioni a dei privati per stoccare mele cooperative in certe gallerie nonese? Non ci è dato di capire se la frigoconservazione ipogea, oltre all’innegabile fascino d’immagine, risolva anche i problemi di gestione di una siffatta idea o se invece rimanga una cambiale da scontare per gli anni a venire. Schelfi & C. si fregano le mani. A ogni buon conto il settore vino è a posto, con 410 milioni di liquidato supera quello frutticolo fermo a 391. Peccato che il settore vino a quel livello ci sia arrivato con i bilanci delle società controllate dalle cooperative vinicole, ossia con il business del vino extra provinciale. Intendiamoci: nulla di male, perché se non l’avessero fatto quelle Cantine, il business l’avrebbe fatto qualcun altro fuori del Trentino con grave riflesso sul liquidato, appunto. Il male è che la notizia è data senza commento alcuno, cioè senza evidenziare il fondamentale apporto di quel tipo di commercializzazione rispetto alla reale capacità di affermazione dei prodotti del nostro territorio. E questo rischia di far scivolare il giornalismo sulla china della superficialità, della parzialità o – dio non voglia – della connivenza. Peggio ancora se si pensa che questo modo di procedere legittima la scarsa trasparenza se non anche la reticenza sui dati. Da qui a dire, come già abbiamo avuto modo di rilevare, che il sistema vitivinicolo trentino è sostanzialmente drogato, il passo è breve. Vero è che fra qualche anno in questo modo non ci saranno più liberi vignaioli, paladini donchisciotteschi della qualità trentina, perché anche a loro converrà conferire alla Cantina sociale di riferimento, lasciando perdere il blasone di famiglia pur di rimediare un reddito purchessia. Gli esempi si cominciano già a contare. Come palpabile è la trasformazione delle stesse Cantine di primo grado in meri centri di raccolta funzionali agli oligopoli dell’imbottigliamento. Certo, con il liquidato in ordine, ci mancherebbe. E’ questo che si vuole dal Trentino vitivinicolo prossimo venturo? Se ci accontentiamo dei soldi, certo che sì, finché dura. Se, invece, i visionari si sognano un territorio e un ambiente magari un po’ più simile a quello dei nostri vicini che pure non stanno morendo di fame, la strada da percorrere è un’altra. Essa comincia dal “far la tara” alle notizie e dal pretendere trasparenza e coerenza.