Ricomincio-da-tre-cover-vcd-frontIeri ho pranzato in bel ristorante di Rovereto (TN) insieme ad una coppia di signori di mezz’età, che avevo conosciuto per caso poco prima, all’uscita da una conferenza stampa. Mi avevano chiesto, cortesemente, di indicargli un posto dove mangiare. E siccome anch’io stavo andando a pranzo, li ho invitati a seguirmi. Erano due turisti emiliani, classe media, due imprenditori che passano il fine settimana in giro per l’Italia, sulle strade del vino. Mentre stavamo pranzando, mi chiedono (trascrivo testualmente): “Ma tutti i vigneti che si incontrano sino a qui, salendo dalla Val d’Adige, sono di Marzemino?”. A quel punto, fra mille imbarazzi ho dovuto spiegare loro che il Marzemino, in Trentino, non esiste più. Che ormai rappresenta una percentuale da prefisso telefonico nella produzione vitivinicola provinciale e che gli espianti a favore del Pinot Grigio, come è accaduto e continua ad accadere per il Lambrusco a Foglia Frastagliata, stanno continuando, fra l’indifferenza di tutti. E il plauso della cooperazione. Loro sono rimasti basiti, esterrefatti. Increduli. Hanno ribattuto, citandomi le decine e decine di cartelli che, dalla Val d’Adige veneta a quella trentina, illustrano la magnifica “Strada del Marzemino”. Hai voglia a spiegare loro che dietro a i quei cartelli c’è semplicemente il nulla. Che quei cartelli sono un’imbarazzante, quanto ingenua, operazione di marketing territoriale a cui non corrisponde più alcun territorio. Il pranzo è finito così: ci siamo salutati con gentilezza, ma in loro era trasparente la sensazione di essersi imbattuti in un mezzo mitomane. O un mezzo matto.

Ieri sera, sul Garda, ho incontrato un vecchio amico di Milano. Non lo vedevo da tanto tempo. Era incazzato nero: “Ho appena finito di pagare 35 euro una bottiglia di Prosecco”, mi ha detto subito, quasi ancora prima di abbracciarmi. Incuriosito, ho cercato di capire di che bottiglia si trattasse. Il milanese, ad un certo punto, ha tirato fuori la parola TRENTODOC. Poi mi ha parlato di un’etichetta argentata e di una parola francese. Alla fine ho capito che quello che lui aveva scambiato per un Prosecco di fascia altissima, in realtà era una delle migliori bottiglie di TRENTO uscite sul mercato quest’anno, almeno a parer mio: il Pas Dosè Altemasi di Cavit. Trentacinque euro al consumatore finale il suo prezzo medio, appunto. Ho provato a spiegarlo al milanese, ma non c’è stato niente da fare: non c’è stato modo di fargli dimenticare la parola Prosecco. Evvabbè, battaglia perduta. E forse pure guerra perduta.

Bene, oggi riprendo a scrivere su questo blog citando questi due aneddoti. Ad un mese dall’interruzione delle trasmissioni digitali di TRENTINO WINE BLOG, riparto da qui: dalla mistificazione deviante di cui è stato, ed è, oggetto il vino trentino. Prendo atto che il marchio collettivo TRENTODOC è ancora un (poco) illustre sconosciuto. E che l’immagine del vino trentino oscilla fra la finzione e la presunzione: la velleità del Marzemino, affogata nel non luogo del Pinot Grigio. Riprendo da qui le trasmissioni. Almeno per oggi. Inutile nascondere le ragioni di questo black-out, intenzionale e doloso: fra i quattro Cosimi, un mese fa, è nata una discussione piuttosto ingombrante: “Cui prodest?”. A nessuno, ci siamo detti. E abbiamo voluto fare la prova del nove, sospendendo la pubblicazione di nuovi post. La prova ha funzionato: il nostro silenzio è passato del tutto inosservato e sotto silenzio. Almeno apparentemente. Nei fatti, di sicuro ha fatto piacere a qualcuno: nei retrobottega e nei sottoscala di parecchie cantine, e non solo cooperative, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Lo so per certo. Quindi, cui prodest? A nessuno, appunto. Questo ci fa pensare. E ci fa riflettere. Qualcuno di noi ha deciso di mollare definitivamente, per dedicarsi ad altre e più proficue occupazioni in altri settori e in altri mondi. Altri due, invece, hanno deciso di restare e di riprovarci. Nel frattempo, qualcuno si è fatto avanti privatamente, chiedendo di essere ammesso al nostro club di contrabbandieri semiclandestini. Temo più motivato dal desiderio di bere qualche bottiglia in compagnia, che da quello di condurre una feroce guerriglia mediatica. Vedremo comunque in seguito se accettare o no queste nuove collaborazioni. Resta però una certezza, condivisa insieme sia da chi è rimasto sia da chi se ne è andato: Trentino Wine Blog non serve ad alcuno. Se non a passare un po’ di tempo fra di noi, fra un bicchiere e l’altro.

E questo credo sia un peccato. Un peccato per il Trentino e un peccato per il vino trentino. Forse abbiamo sbagliato qualcosa noi, forse non siamo stati, e non siamo, capaci di comunicare. Forse siamo solo dei maledetti cazzari. Forse. E tuttavia non credo che il Trentino e quel centinaio di aziende, fra vignaioli, cooperatori e imbottigliatori, che creano valore e lavoro e quelle migliaia di contadini che ogni giorno sputano sangue e sudore nei campi, meritino il silenzio. Questo silenzio. Un silenzio ossessionante e strangolante. Che va ben oltre il silenzio intermittente di questo povero blog da due soldi.

PS: un carissimo saluto a quei quattro, anzi tre, commentatori e lettori che in questi giorni, uniche voci a squarciare il buio, ci hanno chiesto di continuare. Grazie caro amico Franco, grazie compagno Morgan, grazie vecchio Tex! Grazie, a voi. E noi che siamo rimasti ricominciamo da qui. Ricominciamo da tre. Da voi tre.
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