Mi hanno guardato strano, al Castello di Grumello. Perché la Merera?

Potevo scegliere in omaggio il vino che volevo: avrei potuto chiedere, che ne so, il magnifico Moscato. Il Colle Calvario, il bordolese un gradino sotto il cielo, era fuori discussione: lo avevo già.

E invece, la Merera Brolo dei Guelfi 2015, quel vino insolito, un vitigno autoctono del Bergamasco appena riscoperto dall’enologo di casa Carlo Zadra. Un rosso che ricorda per il profumo di piccoli frutti il St. Magdalener o il Kalterersee e che in bocca ha pochi tannini e una grande freschezza, come potrebbe averla qualche Barbera.

A prima vista parrebbe un vino semplice, ma non lo è per niente, piano piano compaiono i terziari, leggeri, le spezie, il pepe, lontano un ricordo di vaniglia. La ricerca della semplicità, a volte, è il massimo dell’eleganza.

Abbiamo bevuto in quest’estate, io e Cosimo Piovasco di Rondò, più di una bottiglia. Alcune di esse erano splendide bottiglie, e ne parlerò pian piano nelle mie personali cronache di quest’estate. Ma l’emozione di questa scoperta, di un vino che si lascia bere in questo modo, senza neanche lasciarti il tempo di accorgerti che la bottiglia è finita, non l’abbiamo più provata.