Se n’è andato a vendemmia finita, ma col vino nuovo già pronto per i primi assaggi e da buon ragioniere nel giorno esatto in cui, 80 anni prima, era nato.

Da come l’ho conosciuto e frequentato Luigi Togn era così. Un’operazione finita e con la testa già nella prossima, magari con alleanze utili per completarla. E’ stato uomo del dialogo in una terra di confine che lo impone se vuoi sopravvivere e svilupparti. Sia a Nord con i vicini altoatesini, sia dove operava nella terra di mezzo, e sia soprattutto a Sud dove pescava il necessario per il suo business: partite di vino che sapeva già dove e come collocare. Un tipico commerciante illuminato. Illuminato al punto di non indugiare un attimo quando, fiutato il vento, ben prima della fine dello scorso millennio, ridisegnò la strategia aziendale orientandola verso il settore primario, lui campione del secondario, quello che gli aveva permesso di consolidare economicamente e finanziariamente l’attività ereditata dal padre Germano che ai tempi era uno dei mediatori attivi nell’intercettare le partite giuste per la clientela altoatesina a sua volta proiettata sui mercati d’oltre Brennero. Quella del mediatore non è un’attività che si possa lasciare in eredità, troppo personale e individuale. Occorreva costruire qualcosa di materiale e concreto, una cantina di vinificazione per uve di chi non voleva conferire in cooperativa e di stoccaggio per lo sfuso. La Vinicola Valdadige nasce e si sviluppa così, con la concorrenza delle Cantine Sociali che nel frattempo non sono state con le mani in mano occupando anche quell’area di business. Allora ecco, un altro balzo oltre, per affiancare al commercio dello sfuso quello al dettaglio, con l’imbottigliamento di partite di qualità con proprio marchio aziendale.

Luigi Togn sedeva nel CdA del Comitato Vitivinicolo in rappresentanza dei Commercianti-Industriali: una palestra che gli permetteva di sentire, approfondire e poi decidere in difesa della sua categoria, ma anche in favore dei suoi progetti. Stagione dopo stagione si capiva che per il commercio puro stava finendo un’epoca, che si andava verso la polarizzazione dell’imprenditoria privata nel segno di un’industria in grado di contrastare il polo cooperativo, con le aziende agricole singole relegate a un ruolo marginale. Che poi le cooperative si siano a loro volta polarizzate in due oligopoli di fatto industriali con un terzo oligopolista industriale puro è un’altra storia.

Interessante è il percorso che Luigi Togn ha coraggiosamente intrapreso per cavalcare i marosi agitati da quelli che sarebbero diventati gli oligopolisti della situazione: nel mondo dello sfuso si riconverte ai base spumante di qualità intuendo che quello delle bollicine classiche sarebbe diventato il mondo giusto per un territorio vocato come nessun altro; per i vini tranquilli, con Gaierhof prima e con Maso Poli dopo completa la conversione all’origine, cioè al vigneto stesso, in proprietà, l’unico che non è scalfibile da nessuno e del quale sei protagonista e responsabile nella buona o cattiva sorte.

Ricordo il giorno in cui mi anticipava le mosse obbligate, non da uomo del vino – lo sarebbe diventato poi – ma da ragioniere: bisogna che mi aiuti a “territorializzare” le mie attività, altrimenti sparisco come quasi tutti i miei colleghi. Che fosse il territorio a salvare il salvabile, per un privato, l’aveva ben assimilato e ne era un convinto sostenitore. Bisognava tradurre la teoria in pratica e sulla propria pelle. Fu così che tirai fuori la carta dell’IGM che comprendeva Roveré della Luna alla ricerca di un toponimo che fosse ancora disponibile, ossia non già utilizzato da altri, né coperto dalle denominazioni di origine nella disponibilità di tutti. E soprattutto che interpretasse la strategia di un’azienda a cavallo di due realtà, quella trentina e quella altoatesina. In cima al conoide vitato la vista spazia a destra fino ai sobborghi di Trento e a sinistra si perde nella Bassa Atesina; solo l’ombra della montagna di fronte lambisce il fondovalle dove la vite cede il posto alla frutticoltura. L’ombra non va oltre, rispettosa del conoide vitato, l’ombra è quella del Gaier normale che in sinistra Adige fa da bastione per la chiusa di Salorno. Gaier – avvoltoio in italiano – è termine giusto per chi si avventa sulla preda per sopravvivere, reso agricolo e aderente alla tradizione tirolese con l’aggiunta dello specificativo “Hof”, maso.

Maso sarà poi senza indugio, la bella azienda agricola Maso Poli che sorgerà di fronte, pochi chilometri più a meridione sui colli di Pressano. Il marchio Gaierhof è nato così, come anello di due culture e genitore della realtà agricola di Maso Poli che completerà la conversione al territorio di un modo d’intendere l’attività vitivinicola in un ambiente condizionato da interessi contrapposti.

E’ stato abile Luigi Togn a manovrare la sua barca fra i marosi riuscendo a creare addirittura una piccola flotta di marchi su cui poggiare un business ben articolato: competenza, rispetto verso i grossi player e attenzione al comparto dei più piccoli imprenditori di cui sentiva di poter far parte. Non risulta che avesse nemici, rispettava ed era rispettato, soprattutto perché dedicava buona parte del suo tempo a terzi, alla comunità degli imprenditori che rappresentava nei consessi di settore. E’ stato un negoziatore paziente con i grossi quando, con poche carte in mano, altri avrebbero lasciato la partita per salvare il salvabile, mentre per lui, salvare non è mai stato sufficiente, bisognava almeno assicurarsi una soglia per ripartire, rilanciando con nuove intraprese verso uno sviluppo possibile. Realista e ottimista. Mirava alla serenità sapendo che bisognava conquistarvela giorno per giorno, quella serenità che lo ha accompagnato fino all’ultimo, lui – beato fra le donne – come diceva alludendo alla moglie e alle tre figlie cui ha lasciato un’eredità degna di un uomo che ha lasciato il segno.