La scritta sul muro è sbiadita dal tempo, al punto che devo passare due volte prima di capire che sono arrivato. Segno di stasi, di stabilità, mi dico. Due sono i casi possibili: o è un’azienda morta, o è talmente radicata nel territorio e possente da non aver bisogno di scritte.
Di sicuro, nei primi giorni di chiusura per ferie è un gigante addormentato.

Erano due righe di appunti, queste sopra, che avevo preso nella visita di quest’estate a Gaierhof, meditando sul contrasto tra questa solidità diafana, e l’eleganza curata di Maso Poli. Due estremi della Stessa polarità.

Negli uffici deserti lo avevo incontrato, Luigi Togn, doveva fotocopiare non so quale documento, per non so quale incombenza.

Ecco, in quel momento ho avuto l’impressione di aver davanti un maestro, e non so dire perché; ho saputo dopo della sua malattia. Aveva quello sguardo tranquillo e definitivo di chi ha già detto addio a tutto, e sta vivendo un pezzo del “dopo di lui”: ma in quel futuro rubato, è presente fino all’ultimo.

Ecco, questo è il mio ricordo, un’istantanea, il mio abbraccio a Romina che era lì con noi e al resto della sua famiglia. E a quella insegna, poderosa e sbiadita, che lui ha lasciato loro.