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Che l’11 settembre non sia una buona data, lo sappiamo.

Nel 1973 i fascisti di Pinochet, finanziati dai briganti di Washington, rovesciarono la fragile democrazia socialista cilena e tutta l’America latina precipitò per anni nel buio delle feroci dittature militari.

L’11 settembre del 2001 è accaduto quello che sappiamo e lo scontro fra due civiltà, una decadente – quella occidentale – e una in ascesa e alla ricerca di spazi e di modalità di emancipazione, si manifestò con la tragica violenza che conosciamo.
Ma che forse non abbiamo ancora capito fino in fondo.
Nel nostro piccolo, in Trentino, questo undici di settembre 2014, invece, ce lo ricorderemo – o forse ce lo dimenticheremo in fretta – per un paio di notizie che oggi ci tocca commentare: l’uscita nelle sale cinematografiche italiane del film Vinodentro e il narcoassassinio, diciamolo pure vigliacchetto perché travestito da incidente, dell’orsa Daniza.
Entrambi i fatti, il film(etto) (one) sul vino trentino e la patetica – per come è stata gestita – storia del povero orso portato in Trentino per recitare la parte di un cartone animato, sono la medesima faccia della medesima medaglia.
Da un decennio, il Trentino è pervaso da una micidiale e pervertita ideologia, che si è ormai incuneata in tutti gli anfratti di questo sperduto angolo delle Alpi e della sua sociologia: il marketing turistico. E’un’ideologia narcotizzante, che ha rincoglionito tutti quanti noi.
E’ un’ideologia partorita da personale politico e amministrativo non improvvisato e con una certa abbondante quantità di pelo sullo stomaco. Marchionnisti alla trentina.
Serve fare i nomi? No. Li conosciamo. Li abbiamo conosciuti. Per una presenza turistica in più avrebbero venduto – e venderebbero – al primo che passa la madre – e anche la moglie e anche la figlia – sul primo marciapiede sotto casa. Restando lì impassibili  a godersi  lo spettacolo.
In questi dieci anni, le politiche agricole, ambientali, forestali e perfino culturali sono state piegate ad un unico obiettivo: vendere all’esterno l’immagine di un Trentino pulito e tutto ossigeno e riposo. Ma anche un Trentino facilmente fruibile dai turisti in ogni suo spazio. Trasformando la montagna, i torrenti e le vallate in un gigantesco luna park ad usum delle divagazioni estive e invernali degli abitatori delle città metropolitane in cerca di emozioni forti sì, ma fino ad un certo punto. Emozioni di plastica.
Trentino Yellowstone lo avevo definito anni fa. La definizione mi pare calzi ancora. Le bonifiche stradali nelle campagne sono state progettate più per le passeggiate domenicali che non per la fruizione agricola, quelle forestali, più che per spengere gli incendi, per consentire di raggiungere più velocemente i caseifici d’alpeggio. L’agricoltura è stata artificiosamente funzionalizzata esclusivamente – almeno nella comunicazione – a vendere confetture di corniolo alle massaie di Roma e di Milano.
E ancora: le celebrazioni della Grande Guerra stanno scivolando pericolosamente sul terreno dell’offerta turistica: trincee, fortini e cimiteri militari riprendono vita per allegre gite fuori porta. Turismo culturale, lo chiamano.
Daniza e Vinodentro, ma per sovrapprezzo mettiamoci pure anche i I Suoni delle Dolomiti, rispondono ai bisogni onnivori di questa ideologia: l’orso Yoghi (che non esiste se non nei cartoni animati) è stato utile per inzuppare la rete e YouTube di filmatini strappalacrime, il film sul Marzemino (vino che non esiste più) è stato finanziato e progettato come un gigantesco spot, che da un lato promuove i panorami trentini e dall’altro serve a chiudere definitivamente la partita degli autoctoni e zittire tutti. Ma non importa che Yoghi sia solo un’invenzione e che il Marzemino sia un vin0 morto e sepolto, una specie di zombi ampelografico. In questa visione, e prassi, entrambe pervertite perché non riconoscono autonomia culturale e ontologica a niente che non  emani odore di turismo, tutto fa brodo. E la realtà è un puro accidente. Ciò che importa è la sua rivisitazione e ricostruzione in chiave comunicazionale e suadentemente persuasiva. La storia di Daniza, e di Vinodentro, fra le tante altre, sono questa roba qui: puro artificio. Partorito dagli strateghi di via Romagnosi e dintorni.
Ma l’artificio, come un castello di sabbia, regge fino ad un certo punto. Basta poco per inceppare il meccanismo e far crollare tutto. E quando non regge più è un mezzo disastro che ti si ritorce contro. Se a questo poi si aggiunge l’incompetenza – vedi la storiella della telenarcosi usata la notte scorsa -, il disastro non è più mezzo. Ma intero. Sarà bello capire, quanto ci costerà, in termini di campagne di comunicazione, lo sprovveduto narcoassassinio di Daniza. Quanto è costato il tremendo spottone sul Marzemino e dintorni invece lo sappiamo già.

Ciao Daniza e buona visione di Vinodentro.

Ps: Oggi in verità, in Trentino, c’è anche una buona notizia. E’ nato un nuovo giornale online: Il Fatto 24 Ore. Non so come andrà questa impresa editoriale. Ma forse ci aiuterà, nel suo piccolo o nel suo grande, ad uscire dall’insopportabile narcosi che avvolge il Trentino. E comunque ci lavora un’amica e collega che stimo molto: Giada Vicenzi.
Quindi in bocca al lupo. Anzi all’orso. A lei e anche noi.