Ho passeggiato un po’ per il padiglione 1, ieri, al Salone del Gusto di Torino. Gli stand dell’Alto Adige e del Trentino si affacciavano l’uno all’altro. Il primo lo ho visto mediamente frequentato. Il secondo sempre affollato. Nel primo non si mangiava e nel secondo sì. Molto tradizionale il secondo: sedie, tavolini e ristorante. Molto bello ed innovativo, il primo, quello del Trentino: molto legno, ma essenziale e sobrio ed elegante. E poi denso di contenuti. Giustamente non si mangiava: la ristorazione trentina era appaltata al pastificio Felicetti, posizionato giusto lì di fronte. A ciascuno il suo mestiere.
I contenuti, dicevo: alcune belle storie che giravano attorno alla suggestione della biodiversità in salsa trentina. La storia della casara etiope, la bellissima Agitu che alleva capre mochene in Val di Gresta. E poi il pane ai cereali della Valle di Non, la birra del Primiero e ancora le antiche varietà di mela. Insomma una serie di contenuti, agiti anche con mezzi multimediali, molto coerenti con la filosofia del buono, pulito e giusto della compagnia di Slow Food. Un bel contenitore e un bel contenuto, quello del Trentino per il Lingotto.
Eppure, attorno a tutto questo, ho misurato poco interesse. Poca attenzione rispetto a quella riservata dal pubblico alle forme più tradizionali di comunicazione adottate dall’Alto Adige. Un peccato. Un peccato che, forse, ha a che fare con la scarsa seduttività del sistema Trentino. Un territorio che fa fatica a farsi riconoscere, anche quando parla il linguaggio della verità e della coerenza e dell’innovazione. Perché, credo, si porta appresso un bagaglio di storie sbagliate. Di storie arificiose. Di errori macrosopici (penso a Daniza e penso all’uso industriale e volgarizzante che si è fatto della povera DOC Trentino e che ora si sta facendo della IGT Dolomiti).
Tutto questo, forse, pesa. E pesa soprattutto su un pubblico accorto e sofisticato come quello che frequenta i giri di Slow Food (e di Slow Wine). Ripeto: un peccato perché ieri, secondo me, a Torino c’era un Trentino buono, pulito e giusto. Anche più dell’Alto Adige.
È lo pseudonimo collettivo con cui fin dall’inizio sono stati firmati la maggior parte dei post più trucidi e succulenti di Territoriocheresiste. Il nome è un omaggio al protagonista del Barone rampante, il grande capolavoro di Italo Calvino. Cosimo Piovasco, passa tutta la sua vita su un albero per ribellione contro il padre. Da lì, però, guadagna la giusta distanza per osservare e capire la vita e il mondo che scorrono sotto di lui.
E io aggiungo un grazie anche a te Massarello per la segnalazione.
Grazie Cosimo per questo tuo report da Torino. Come sempre, le tue conclusioni inducono a pensare. Al di là del confronto con l'Alto Adige che dovrebbe aiutarci a ripensare – in salsa trentina – il nostro futuro. Tenendoci il buono che abbiamo, ma orientandolo verso orizzonti ripensati, appunto. Colgo l'occasione per anticipare che fra un paio di giorni – sul sito "A nord di Trento, a sud di Bolzano" sarà disponibile la traduzione di un illuminante intervento che Alois Lageder ha recentemente tenuto ad Ora sulle prospettive della viti enologia altoatesina. Non dovremo farcelo scappare, non fosse altro per la riconosciuta profondità di pensiero del relatore.