Era una gelida mattina di un fine febbraio di ormai tanti anni fa. Davanti all’albergo di via Romagnosi, a Trento, fra marciapiede e strada, la neve ammucchiata pareva di vetro. L’ospite londinese era già pronto, ma non mi pareva vestito a sufficienza. Del resto, per ricordarsi del Tamigi ghiacciato bisogna andar indietro parecchio, molto più dei suoi settant’anni. Non si preoccupi, gli dissi, che fra venti minuti saremo in primavera. Il bello di Trento è anche questo: in mezz’ora puoi cambiare clima. Se ti va quello alpino continentale non hai che da infilarti in una delle valli a nord est, se preferisci il tepore sub-mediterraneo passi il Bus de Vela e in poco stai in maniche di camicia.
Lui era un tipo che faceva un po’ di soggezione e quella visita al Trentino vinicolo era stata rinviata già un paio di volte perché si rifiutava di viaggiare in compagnia con altri colleghi, voleva cioè un servizio ad personam. C’era una questione di costi, ma alla fine l’agenzia riuscì a convincermi, era capo redattore del Sunday Time e per un buon articolo lì, ne sarebbe forse valsa la pena. Bisognava giocarsela e nel gioco conta la fortuna.
Non volevo anticipargli niente dopo la promessa della primavera, se non che a un certo punto avremmo percorso un tratto di strada dove fra i cubetti di porfido cresceva l’erba, dal poco traffico. Dopo il ponticello fra i due laghi presi a destra lasciando dall’altra Toblino col suo castello troppo noto. Parcheggiai sotto le fronde di una mimosa fiorita che si era fatta albero. Gli feci notare l’orologio e lui si tolse lo spolverino lasciandolo sul sedile. La mimosa separa la piccola cantina di Giulio Poli da quella del suo omonimo Giovanni. C’è ne sono altri tre di Poli in quel pugno di case che è Santa Massenza. Tutti e cinque distillatori e vinai a tempo perso. Il tempo perso, appunto, quello che ti permette di fare cento altre cose, una meglio dell’altra se ti prendi tempo.
Non fu difficile per il mio Sir – era pure baronetto per meriti professionali – adattarsi in quell’ambiente. Del resto, aveva assaggiato tutti i migliori alcolici dell’universo globo, ma della grappa aveva solo sentito parlare e quella lacuna s’era intestardito a colmarla.
Volle sentirli tutti i cinque Poli e tutti lì interrogò separatamente con le stesse domande. Non capivo bene dove volesse andare a parare, ma quando seppe che un tempo lì a Santa Massenza c’è n’era un’altra di distilleria e più grande di tutte e che all’improvviso questa scomparve lasciando soli i cinque Poli, beh, l’idea gli venne, ma non la lasciò trapelare.
A Giulio aveva dedicato più tempo, era il più anziano e sapeva che da lui poteva cavarne di più. Giulio era di poche parole, ma non rifiutava il dialogo, anzi. Lasciava cadere le frasi quasi sottovoce, pillole di saggezza contadina, mentre col braccio alzato verso lo scaffale dei vini cercava il mio consenso per l’aperitivo più adatto al momento. Per lui, una valeva l’altra. Era sicuro del fatto suo e il Sir annotò. L’ho visto sempre sereno, il Giulio, in pace con se stesso. Alla domanda secca  sul perché e sul percome sparì da lì il più grosso distillatore, Giulio alzò la testa, corrugò la fronte alzando il ciglio, le labbra si allargarono un poco e quasi sibilando farfugliò qualcosa che non intesi bene. E peggiore ancora giunse la traduzione nel mio improbabile inglese. Non me ne volle, il Sir, aveva già ben in mente come avrebbe dato concretezza a quella sua trasferta in Trentino.
Sentiti gli altri ebbe solo conferme: ognuno dette risposte simili, ma sul punto della distilleria scomparsa c’erano dichiarazioni divergenti e tanto gli bastava. Assaggiò le grappe di tutti e si meravigliò per la finezza al naso e la morbidezza al gusto. Nulla a che vedere con quelle che all’epoca si trovavano nelle enoteche londinesi. Da Giovanni volle sapere tutto della sua Genziana, di quel distillato di radice ben diverso degli infusi che si ottengono per una via più commerciale, ma anche delle rogne che quel procedere comportava.
Alla fine non ci fu verso da estorcergli un’impressione, nemmeno durante il transfert per l’aeroporto. Mi parlò solo del decano dei distillatori, del signor Giulio, me lo disse in italiano e mi parve già allora una medaglia al patriarca dei Poli. Il Giulio l’aveva convinto e ispirato con la sua semplicità che sapeva di purezza.
Dopo un paio di settimane la posta recapitò il ritaglio dell’articolo a tutta pagina con un titolone che non poteva lasciar indifferente nemmeno il lettore più distratto: La saga dei Poli. Con la grappa, la tiepida Valle dei Laghi e il Trentino incastonato nell’arco alpino a fare da sfondo. Grazie Giulio, anche per questo.