Che in Cavit siano capaci di fare vino, e vino buono, è perfino pleonastico scriverlo. E ci mancherebbe solo questo: che a Ravina non siano capaci di fare buon vino; chi, come il consorzio di secondo grado, ha a sua disposizione oltre metà del vigneto DOC, dislocato ad ogni latitudine e ad ogni altitudine del Trentino, e ha dalla sua parte un’esperienza, un prestigio e una tecnologia guadagnati in oltre mezzo secolo di storia, che ha calamitato presso di sé i migliori tecnici in circolazione (Andrea Faustini, Anselmo Martini, Paolo Turra, tanto fare i primi nomi che mi vengono in mente) , ecco chi ha questo pedigree, dovrebbe davvero mettercela tutta per riuscire nell’impossibile missione di fare vino cattivo.

Non è questo, comunque, il caso di Cavit. Nella collezione “I Sartoriali” (e già che ci sono mi permetto di chiedere a quale stravagante creativo sia mai saltato in mente di coniare questa brand e agli uomini di Ravina quale stravaganza li abbia irretiti nel mentre si lasciavano guidare dall’eccentrico creativo da sartoria), recentemente sono comparse due nuove referenze, che si affiancano ai già noti – e buonissimi – Mueller Thurgau Zeveri (Trentino Superiore Doc) e 4V – Quattro Vicariati. Si tratta del Rulendis (Pinot Grigio Trentino Superiore) e del Brusafer (Pinot Nero Trentino Superiore).
I due vini sono stati presentati alla stampa e ai distributori in occasione dell’ultimo Vinitaly. Io ho avuto modo di assaggiarli recentemente grazie alla generosa manina di un amico (non a quella di Cavit).

BRUSAFER 2014, Alcool: 13,00; Acidità totale: 4,90; Estratto secco totale: 25,5; Zuccheri residui: secco

 da uve Pinot Neroresa 60 quintali / ettaro –  coltivate sui terreni vulcanici dell’altipiano di Brentonico, monte Baldo, fra i 600 e i 700 metri di altitudine e sulla collina calcarea di Trento, alla medesima altitudine. E da qui prende anche il nome: Brusafer è il vecchio fortino austriaco che sorge lungo il pendio meridionale della Marzola, sul versante destro della Valsorda.
Il vino risale alla vendemmia 2014- che fu annata bastardissima in fondovalle ma splendidamente fruttuosa in collina e in montagna – e mantiene intatta una freschezza che pare figlia di una vendemmia perfino più recente. Ottimo presupposto per sicure evoluzioni, in positivo, nel tempo. Insomma un vino da bere subito perché è buono ma da tenere anche lì in cantina e da assaggiare fra qualche anno: investimento nel tempo assicurato. L’affinamento in legno, tonneau e barrique, tuttavia lo aiuta ad innervare una solida struttura che si fa sentire, con speziature di cacao, ma anche di incenso e di cappella di cerino su cui colano densi reigagnoli di cioccolato amaro. Prevalgono, tuttavia, le suggestioni fruttate ed eleganti della pugna matura e della ciliegia gonfie di polpa, un impasto armonioso di sensazioni che tornano persistenti anche nel retrogusto. E’ un vino voluminoso ma allo stesso tempo di un’eleganza incredibile, che sembra costruita fin nei minimi dettagli per avvicinarsi il più possibile alla perfezione stilistica. Una sensazione, alla beva e all’ascolto nel naso, che ti avvicina al sogno di una notte d’amore vissuta con la lentezza sapiente dei vecchi amanti ancora capaci della agile freschezza degli adolescenti.
Prezzo in enoteca Cavit: 15,10 euro

RULENDIS,  Alcool: 13,00 % vol.; Acidità totale: 6,40 g/l; Estratto secco totale: 21,5 g/l; Zuccheri residui: secco

da uve Pinot Grigio (resa 60 quintali / ettaro) coltivate ai piedi delle Dolomiti di Brenta nel Bleggio Superiore, nelle valli Giudicarie ed in Valle di Cavedine di lì ad un passo dal Lago di Garda, ad un’altitudine variabile che oscilla fra i 500 e 600 metri slm.
Dunque, se avete in mente un Pinot Grigio scuola Santa Margherita, bene allora è meglio che stiate lontanissimi da questa bottiglia. Perché questa è una bottiglia fuori dagli schemi (in Cavit deve avere preso il potere qualche pericoloso rivoluzionario anticonformista). E che lo schema classico qui non sia rispettato lo si capisce già dal colore, di un vivace paglierino carico. Altro che il bianco carta da manuale del buon enologo da Pinot Gris da export. Nel gioco del giallo si fanno avanti anche nervature verdoline che promettono lo scatto verticale al naso e in bocca. Del resto la componente acida di montagna non tradisce le aspettative. Un sottofondo erbaceo di malva e salvia fanno da trapunta alle componenti fruttate decise. La mela verde la fa da padrona e mette in secondo piano la classicissima pera del Gris, e poi ci si sposta su un tessuto di agrumi che sprizzano e spruzzano l’allegria dell’estate. Ma non è un vino balneare né da ombrellone, è un vino che mantiene fino alla fine, fino al retrogusto ancora agrumato di cedro e lime,  un’autorevolezza che mette quasi soggezione. Insomma un vino da prendere sul serio e da sperimentare a tutto pasto. La prova che la viticoltura di alta collina, anche con varietà solitamente confinate nel fondovalle, può dare molto. Anzi moltissimo. E soprattutto grandi soddifazioni.
Prezzo in enoteca Cavit: 11,00 euro

Per entrambe le referenze, l’investimento di Cavit, per ora è circoscritto a poche migliaia di bottiglie. Insomma ancora poco, per dire che si è di fronte ad un cambio di marcia e di strategia di uno dei più grandi vinificatori e imbottigliatori italiani. Ma il segnale, buono, c’è. Soprattutto per questo Pinot Grigio, che deve il suo nome alla latinizzazione della parola Ruländer, nome con cui in Trentino si coltivarono il primi cloni di questa varietà. Se il Brusafer rappresenta la conferma dell’esperienza sul Pinot Nero già dimostrata con altre bottiglie Cavit (I Masi) e di area Cavit (Mori Colli Zugna), il Rulandis è una benefica e sorprendente novità; che poi anticipi anche la scelta politica di investire seriamente in montagna e di investire sulla denominazione Trentino Superiore Pinot Grigio come risposta territoriale alla Doc delle Venezie, è troppo presto per dirlo. Ma ad essere ottimisti – almeno oggi – ci potrebbe anche stare.

Detto questo, che è anche tutto il bene possibile che posso dire di Cavit e di questi due vini, resta sullo sfondo un interrogativo impertinente, che però porta alla luce una contraddizione tutta trentina: perché queste bottiglie di fascia premium, prodotte in areali di pertinenza delle sociali di primo grado, finiscono nel catalogo del consorzio di secondo grado, anziché restare in quello delle Sociali di riferimento, magari con l’assistenza tecnica di Cavit, magari con il supporto commerciale di Cavit? Perché non restano, come secondo me dovrebbe essere, nell’ambito della produzione territoriale degli attori cooperativi di base? Ma qui si entra a gamba tesa sul terreno scivoloso della politica e del marketing. E oggi non ho voglia di farlo.