Torno, non per riaccendere la polemica, ma per dare 2005-enanito-roneo-01 una notizia, sul tentativo di ragionamento fatto in un post precedente (Autoctono trentino, ma dove sei?). La notizia è questa: il Consorzio Terra dei Forti lascia la Terra dei Forti (per chi non ha ben presente la geografia locale: si tratta di un lembo di terra che sta a cavallo fra l’Alto Veronese e il Basso Trentino). Inchiodato alla pura sopravvivenza ormai da qualche anno, si dice (ma è un si dice piuttosto autorevole) stia per abbracciare, anzi per farsi abbracciare da, i cugini gardesani del Consorzio del Bardolino. La road map dovrebbe essere questa: prima uno spostamento della sede operativa (ora a Peri di Dolcè) e poi, ma è ancora tutto da vedere, l’adesione ad un nuovo consorzione che metta insieme le due realtà; quel che poco che resta della Terra dei Forti (i soci ormai sono in libera uscita e le dimissioni si susseguono una dopo l’altra) e il solido consorzio di Bardolino (che dalla sua parte ha l’inimitabile forza di richiamo del lago: circa 20 milioni di presenze turistiche all’anno). Che questa sia la prospettiva è facile da intuire. Del resto era stata tratteggiata, già a giugno, nel corso dell’ottimo convegno organizzato dalle Cantine Armani di Dolcè.  Quindi, che le cose vadano a finire così, è quasi scontato. Qui però torno alla questione degli autoctoni. Il consorzio Terra dei Forti, a suo tempo, germogliò dall’idea che i due autoctoni della zona (Enantio e Casetta, Lambrusco a foglia frastagliata e Lambrusco a foglia tonda, per i quali è stata istituita una Doc apposita), potessero diventare la bandiera e il simbolo di quella zona a metà fra Trentino e Veneto, che abbraccia l’intera Vallagarina. il buon Albino Armani li ha sempre chiamati poeticamente vitigni evocatori. A distanza di qualche anno, purtroppo, così non è andata. I programmi di espianto (come si vede nella tabella pubblicata sul post precedente) si sono intensificati e le bottiglie vendute (a parte qualche rara e preziosa eccezione) sono state sempre meno: siamo nell’ordine di qualche decina di migliaia. E oggi il consorzio degli autoctoni terrafortini, per guadagnarsi qualche spazio di sopravvivenza, si vede costretto a traslocare sulle assolate rive del Garda veronese. Non so se l’assessore Mellarini, che pure a suo tempo, almeno a parole, diede una buona mano  a quelli dell’Enantio e della Casetta, sia informato di questo epilogo. O di questo nuovo inizio. Ma forse no: se lo fosse stato si sarebbe risparmiato, qualche settimana fa, di sfidare il buon senso, lasciandosi andare all’idea avventurosa di un ipotetico Festival degli Autoctoni lagarini. Autoctoni che, come si capisce da questa notizia, per guadagnarsi una qualche prospettiva di visibilità e di sopravvivenza, oggi sono costretti a prendere armi e bagagli e a cambiare aria. Speriamo, almeno, non con il cappello in mano.