Premetto che il sesso mi piace. E che scopare, come un riccio, mi piace ancor di più. In tutti i modi. Anche quelli considerati poco ortodossi. Premessa – excusatio solo apparentemente non petita – che mi sento di fare, non per esercitare manifestamente l’indomito machismo che mi possiede sin da bambino, ma perché non si dica che quello che sto per scrivere è figlio di una inveterata ossessione sessuofobica.

Dunque, oggi ho pranzato, mediamente bene e a buon prezzo, in un locale del Basso Trentino: sull’insegna la scritta Wine Bar Bacco 12. Un facile gioco di consonanti che allude ai trampoli (12) in uso, fino ad un certo punto, presso la popolazione femminile. E infatti il logo del locale è costruito attorno ad un paio di scarpe da femmina, dove il tacco vertiginoso (12) è interpretato da una bottiglia (champagnosa) capovolta. Originalità, e ingenuità, campagnole. Niente di più.

Nei prossimi giorni una delle etichette must del TRENTO (di cui non do altra indicazione per non essere accusato di pubblicizzare surrettiziamente un marchio amico) sarà ospite di una serata aperitivistica abruzzese, presentata in facebook così: “Bollicine e Tacco 12”. Lo stesso giorno, sabato 24 novembre, a Trento chi lo vorrà, potrà partecipare a una degustazione istituzionale (Bollicine su Trento) intitolata così: “Ballerine o tacco 12?”.

Insomma, il tacco (12) impazza. E strapazza. Almeno come veicolo porno-promo-mercificante del vino. Facile decodificarne il meccanismo intrinseco: il tacco (12) allude ad un erettile orizzonte erotizzante. Almeno nell’immaginario maschile. Non so se quello femminile sia simmetrico. Il sesso si rivela ancora una volta efficace (?) veicolo di marketing. Questa volta per vendere bottiglie. Niente di nuovo sotto il cielo: la tòpa tira sempre. Soprattutto se è una tòpa con il tacco. E la mitologia sovversivistica di Dioniso, che pure ha a che fare prepotentemente – ma siamo su altri livelli – con il sesso (rivoluzionario, baccante ed ermafrodita), in questo caso non c’entra. Nulla. Sullo sfondo resta il vino, il vino merce. Il vino mercificato. Il vino a cui viene negata minuziosamente qualsiasi autonomia concettuale, materiale e immateriale. Vino pornografizzato. Perché strumentalizzato. Al pari della tòpa (con il tacco). Perché iconizzato, e quindi confinato a funzione veicolo, dentro un’ossatura culturale cristallizzata e unilaterale, di una simbologia schematizzata in ruoli scontati e fissati da reazionarie ruolizzazioni sociali convenzionalizzate. Povero vino (girotòpa), merce. E povere femmine (calzaturiere), merci.

Ps: non affronto, perché da maschio non è il mio terreno, il discorso attorno alla mercificazione taccuta della figura femminile, ricondotta a sintesi pedestre della famigerata e leggendaria tòpa, esclusivamente funzionale a soddisfare mai sopiti e sempre prevaricanti meccanismi di dominio e di subalternizzazione. Non affronto questo argomento perché, come si può ben capire, questi non sono cazzi miei. Almeno fino ad un certo punto.

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